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martedì 6 settembre 2016

tra santi e siacalli

Sono trascorse appena due settimane dal terribile terremoto dell'alta valle del Tronto e sembra siano già passati mesi. Forse è la risacca dell'onda emotiva o forse è perché sono state dette tante, troppe parole in queste due settimane. Parole già sentite dopo l'Emilia, dopo L'Aquila, e prima ancora dopo l'Umbria, dopo l'Irpinia e il Friuli...
Siamo stati inondati di immagini di santi ed eroi. Ci siamo gonfiati il petto di orgoglio nel vedere la dignità del popolo degli appennini. Ma siamo stati inondati, senza rendercene conto, anche dagli sciacalli... Non quei maledetti disperati sciacalli che vanno a frugare nelle case semidistrutte. Parlo degli sciacalli in doppio petto, benestanti e talvolta famosi.
Tra questi l'ultimo livello, quello più umile e coatto, è quello dei tecnici che si scagliano gli uni contro gli altri armati per ottenere un briciolo di considerazione in più (che si tramuti in qualche incarico in più) nel lungo e ricco iter della ricostruzione. Geologi contro ingegneri. Architetti defilati, come sempre, ma che pure prendono schiaffoni nella bagarre. Geometri che si intrufolano tra i contendenti. Una scena che si ripete, da decenni, dopo ogni catastrofe ambientale.
Ma i tecnici sono, come dicevo, l'ultimo livello. Il livello che riempe le pagine dei giornali e i dibattiti televisivi. Il livello che corrisponde a quella classe dirigente che non è lì per risolvere i problemi ma per accollarsi la responsabilità di tutto, anche di ciò che non è loro obiettiva responsabilità e rispetto a cui dovrebbero considerarsi piuttosto vittime predestinate.
Il primo livello di sciacalli se ne sta nascosto a spartirsi ciò che l'ennesima sciagura muoverà in termini di finanziamenti pubblici dati in emergenza  e per questo molto meglio "gestibili".
Il primo e più alto livello è invece quello a cui accenna la redazione di Charlie Hebdo in risposta al legittimo sdegno degli italiani verso la vignetta sul terremoto che nulla ha di satirico e molto di quel genuino cattivo gusto in salsa sciovinista, tipicamente francese. E' il livello della politica. Perché la responsabilità del disastro di Amatrice non è del terremoto, che accade per natura, né in generale degli "uomini", come disse il vescovo per scagionare il ruolo di Dio nella vicenda, ma di "alcuni uomini". Quelli che decidono come impegnare i soldi pubblici, che scelgono quotidianamente tra le ragioni dell'economia, quelle del benessere dei cittadini e quelle della conservazione del loro potere.
L'immagine che riporto in questo post e che rappresenta Pescara del Tronto distrutta vista dall'alto è esplicativa di quanto affermo.
Il paese appare sovrastato da un ardito quanto impattante viadotto stradale che collega la piana di Norcia con la Salaria in direzione Ascoli. Quella strada fu decisa credo circa 25 anni fa.
Nei primi giorni del secolo giravo per Pescara del Tronto nell'ambito dello studio del sistema insediativo per il Piano del Parco dei Sibillini. Il paese era già malmesso e in alcuni punti pericolante senza bisogno del terremoto. A quell'epoca erano già avvenuti i terremoti del Belice, dell'Irpinia, e del Friuli. Era appena avvenuto quello umbro che aveva colpito anche , seppure con minore intensità, la valle del Tronto ed erano stati fatti, nei giorni seguenti, gli stessi appelli e le stesse promesse che sento oggi.
Lì la politica decise. Decise tra il mettere in sicurezza i paesi per salvaguardare le anime e le opere d'arte di quel territorio o il fare la nuova strada, che avrebbe sicuramente - a detta dei locali esponenti di partito - rilanciato l'economia della zona.
Ora il risultato di quella scelta è lì sotto gli occhi di tutti, ma i mass media non "vedono" questo fatto.
La strada è in piedi, vuota come sempre (ma quanta gente mai andrà da Norcia ad Ascoli? E a fare che?), Pescara non c'è più assieme a parte dei suoi abitanti.
La politica poteva scegliere diversamente. Poteva risparmiare sistemando la vecchia strada di forca Canapine - molto più bella e interessante per il turismo locale - e investire sul recupero del paese, lanciando un turismo che ancora non conosce nemmeno l'esistenza di quello che è, a mio avviso, uno dei luoghi più belli della penisola.  Poteva, ma ha scelto diversamente. Eppure nessuno oggi alza il dito verso quei politici che presero quella decisione. E' come se il pensiero dell'opinione pubblica, ormai assuefatto a decenni di slogan sul primato dell'economia e della crescita, assolvesse implicitamente quella decisione politica perché le ragioni dello "sviluppo" vengono prima di ogni altra cosa.
E purtroppo queste decisioni si continua a prenderle e nessuno, o troppo pochi, trovano da ridire su quelle decisioni.
Se un giorno - facendo gli scongiuri perché non accada - un terremoto o un alluvione colpissero l'alta valle del Chienti o l'alta valle dell'Esino, quanti rinfaccerebbero la scelta di costruire la tanto osannata Quadrilatero, investendo in quell'opera dalla dubbia utilità ed urgenza, invece che sanare e valorizzare l'esistente creando le premesse per un vero rilancio economico e civile di un territorio colpito dalla risi industriale? E lo spesso dicasi per la Fano-Grosseto, per il by-pass ferroviario di Falconara o per la mega-uscita ovest dal porto di Ancona...
Davvero ancora crediamo alla favola che le nuove infrastrutture rilanciano l'economia? Che i grandi investimenti pubblici come la TAV hanno qualcosa a che vedere col benessere dei territori attraversati?
Ha ragione Charlie Hebdo, seppure mi dispiace ammetterlo: il problema dell'Italia è e resta la mafia. Mafia che ormai si confonde nella politica e negli appalti. Mafia che spinge affinchè vengano prese dalla politica quelle decisioni a lei utili che la politica puntualmente prende. E non sto parlando soltanto  della mafia delle cosche e di mammasantissima, ma anche di quella più diffusa che alberga nelle abitudini e nel fare degli italiani, nella corruzione e nell'attribuzione della qualifica di "furbo" a chi la pratica anzichè di "criminale",
Quando sento parlare ancora i dirigenti del CONI e certi politici circa l'opportunità di portare le Olimpiadi a Roma, sapendo la situazione drammatica in cui versa la capitale dove c'è da ricostruire un intero tessuto civile, mi viene la pelle d'oca. 
Davvero c'è chi crede ancora che un "evento" come le Olimpiadi possa risolvere i problemi della città che è diventata, di fatto,  una nuova capitale della mafia?
Certo se pensiamo che un forte investimento pubblico (l'ennesimo) su Roma possa aiutare la città a risollevarsi, dobbiamo però pensare ad un'Olimpiade che invece di costruire nuovi impianti rimetta in uso e miglio quelli attuali. Ad un'Olimpiade che invece di costruire un nuovo villaggio olimpico acquisti immobili esistenti e non utilizzati per poi, a giochi finiti, usare quegli alloggi nella politica della casa. Ad un'Olimpiade in cui il Comune di Roma possa ottenere soltanto vantaggi in termini di servizi ai cittadini e dove tutta la responsabilità economica, in caso di deficit dell'operazione, ricada in solido negli organizzatori. 
Ma sono sicuro che di fronte a queste condizioni, i dirigenti del CONI e Montezemolo sarebbero i primi a ritenere inopportuno che Roma ospiti le Olimpiadi...
Ecco, quella che la nuova amministrazione di Roma ha di fronte è una decisione politica. Vedremo dal tipo d decisione, se i 5 stelle rappresentano davvero quel cambiamento che promettono di essere o sono soltanto l'ennesimo fallimento di una voglia di cambiamento che forse, nel cuore degli italiani, non è poi così profonda.

1 Commenti:

Alle 6 settembre 2016 alle ore 12:44 , Blogger Unknown ha detto...

Come sempre, ottimo e abbondante.

 

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