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giovedì 30 dicembre 2010

Ritrovare la strada


In questa stagione lacerante e sbiadita della vita sociale italiana domina  ormai pressochè ovunque, un senso di smarrimento e di impossibilità. E' presente in ciascuno di noi, sebbene in forme diverse, uno stato di ansia. Non vediamo l'ora che accada qualcosa ma allo stesso tempo qualunque idea di "qualcosa" ci genera apprensione, preoccupazione come se qualsiasi cosa possa accadere debba essere necessariamente, alla fine, negativa.
Siamo di fronte all'impossibilità di un'azione pensabile come buona. E difatti non agiamo. Stiamo fermi.
Parliamo, crtichiamo, ci indignamo ma non agiamo. Vuoyeures della nostra esistenza, come fosse la messa in scena di un "grande fratello". Finiremo con l'osservare vivere la nostra vita, anzi, forse attraverso le virtual-community (come facebook) questo sta già avvenendo.
Questa dislocazione della nostra esistenza, che ci vede fermi, seduti di fronte a un video interessati a vivere una esistenza virtuale, è una conseguenza dell'isolamento del presente. Separato dal passato (la storia) e dal futuro (il sogno) e costretto da anni - volutamente - a un perdurante stato di crisi e quindi al massimo realismo, all'oggettività, il presente smarrisce il suo stesso senso e finisce per non esistere più. E noi, con lui, smettiamo di esistere.

Per questo ci diciamo indignati da ciò che accade ma non scendiamo in piazza per manifestare il nostro dissenso. Per questo ci lamentiamo di uno stato di cose ma non facciamo nulla per cambiarlo. Semplicemente perche non esistiamo, e questa non-esistenza è più confortevole del combattere, del mettersi in gioco. E paradossalmente più la realtà si mostra precaria, insoddisfaciente, inadeguata, più aumenta la paura del cambiamento, del nuovo, dell'inconsueto. Abbiamo paura che il cambiamento ci possa far perdere qualcosa... che cosa? Non lo sappiamo, ma la paura resta, e cresce.
Questo stesso stato d'animo sembra prendere i movimenti "dal basso". Dopo una crescita che sembrava inarrestabile e destinata a rinnovare la società, come una mandria di cavalli in corsa, proprio quando si è giunti sula riva del fiume l'impeto si smorza, qualcuno indietreggia... il fiume fa paura.
Forse molti non si aspettavano il fiume. Forse molti pensavano al cambiamento come ad un cambio di stagione, una moda o poco più. E invece il fiume c'è ed è profondissimo. E' il fiume che separa il non-essere dall'essere.
Come lo si può superare? Innanzi tutto bisogna "pensarlo" superabile. Dobbiamo smettere di vedere solo i nostri piedi e l'acqua del fiume. Dobbiamo cioè vedere l'altra sponda (il futuro) e il percorso da cui siamo venuti (il passato) e gli altri fiumi attraversati da altri prima di noi. Dobbiamo considerare questi luoghi reali e "presenti" tanto quanto la terra che abbiamo sotto i piedi e il fiume che ci scorre davanti.
Vivere oggi il  nostro passato e il nostro futuro.
Questa è la chiave per uscire dall'empasse.
Ristudiamo la storia della nostra terra, ascoltiamo le voci in dialetto dei nostri vecchi, riprendiamoci le tradizioni, i ricordi. Usiamoli come mattoni e calce per costruire pezzi di futuro. Nuovi modi di consumare, di  lavorare, di incontrarsi, di vivere, di scambiare merci, di comunicare. Modi che ci sembrano più adeguati, più giusti, più veri.
Così facendo - solo così facendo - ci ritroveremo tutti dall'altra parte del fiume a ridere di quando avevamo paura di bagnarci i piedi.



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