la tragedia dell'urbanistica italiana - 1
brano tratto da:
La legge urbanistica del 1942
Data di pubblicazione: 01.09.2006
Autore: De Lucia, Vezio
4. Il centro della politica urbanistica è sempre costituito dai dispositivi di controllo della proprietà fondiaria. Fermiamoci a considerare quest’aspetto nella legge del 1942, cominciando dalla proposta dell’Inu del 1940, dove si legge che “il possedere e liberamente disporre della proprietà terriera non come strumento di produzione e ricchezza, ma come mezzo di arricchimento e di speculazione senza lavoro e senza merito mal si concilia con la funzione sociale della proprietà. Partendo da tali premesse e dalla considerazione dell’interesse pubblico che è insito nella destinazione del terreno ad uso urbano, si è provveduto a fissare la nuova disciplina giuridica dell’intera materia delle aree urbane”. La normativa proposta dall’Inu prevedeva perciò l’espropriazione delle “aree urbane”: l’indennità si differenziava fra le aree da considerare già urbane, anche in assenza del piano regolatore, prima dell’emanazione della legge, e quelle che lo divengono successivamente. Per queste “la legge, sin dal momento della sua emanazione avverte che il proprietario in caso di esproprio riceverà il prezzo ragguagliato al puro valore di mercato che il terreno, considerato nella sua ordinaria utilizzazione agricola o industriale, avrà alla data del decreto di espropriazione […]. In tal modo ciò che non si pagherà più dall’ente espropriante sarà il plusvalore, che sulle aree urbane già esistenti al momento dell’emanazione della legge o sui terreni agricoli o industriali, si formerà in avvenire. E’ dunque soltanto la speranza di un futuro guadagno del privato che la nuova legge toglierebbe ai privati. Ma questo “futuro guadagno” del privato non è frutto dell’attività produttrice del privato stesso bensì della collettività e della pubblica Amministrazione, cui sono dovuti l’espansione dell’abitato e l’attrezzatura urbanistica” [18]. Lo stesso obiettivo è perseguito dall’articolo 18 della legge del 1942, certamente quello più incisivo sul regime di proprietà dei suoli, che consente ai comuni di espropriare, dopo l’approvazione del Prg, i terreni destinati all’edificazione nell’ambito delle zone di espansione, a un prezzo che non tenga conto degli incrementi di valore derivanti dalle previsioni del piano. Questa norma avrebbe dovuto consentire la formazione di demani comunali, strumento indispensabile per indirizzare l’espansione urbana nelle zone ritenute più idonee, esercitando al tempo stesso un’azione calmieratrice sul mercato delle aree. A proposito dell’articolo 18, il ministro Gorla dichiarò che “fino ad oggi chi ha profittato delle espansioni che hanno avuto le nostre città è stato il privato, anzi, più che il privato, lo speculatore. Lo scopo della legge è proprio quello di impedire la speculazione, non di danneggiare il privato, di togliere al singolo il vantaggio di appropriarsi di tutto il plusvalore che i terreni acquistano per i lavori eseguiti dagli enti pubblici” [19].
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