LA CARTA DEI DIRITTI DEL TERRITORIO
Premessa
Il territorio è stato per lungo tempo considerato come lo spazio in cui si esplica l’agire ed il dominio dell’uomo. Deposito di risorse a nostra disposizione ed infinitamente utilizzabile.
Il suolo è stato suddiviso in proprietà e classificato in base alla rendita derivante dalle attività primarie che si potevano svolgere su di esso.
Con l’avvento dell’economia di mercato, il suolo ha assunto nuovo valore come bene immobiliare ed ha moltiplicato la sua rendita in funzione della edificabilità. Per regolamentare l’usufrutto di tali rendite e governare gli interessi concorrenziali sullo sfruttamento dei suoli in favore della disponibilità di spazi pubblici è nata la disciplina urbanistica.
Sotto la spinta della crescita demografica e delle speculazioni derivanti dalla possibilità di trasformare, attraverso l’urbanistica, la destinazione d’uso delle aree, abbiamo assistito negli ultimi decenni alle de-composizione del territorio, alla perdita di riconoscibilità degli elementi costitutivi, delle interrelazioni e della stessa identità dei luoghi.
E’ ormai scomparsa una chiara distinzione tra città e campagna. Grazie alla tecnica abbiamo ritenuto di poter superare i legami di necessità tra le forme del costruito e le forme della terra. Abbiamo così alterato profondamente le gerarchie insediative, le antiche regole costruttive del paesaggio, senza introdurne di nuove.
Il paesaggio, manifestazione essenziale di quel territorio antico che definiamo “il territorio della necessità”, viene aggredito dal non-paesaggio, immagine standardizzata di una periferia omologa, manifestazione essenziale del “territorio dello sviluppo”, dove anche i luoghi vengono soppiantati dai non-luoghi[1].
Recuperare una visione unitaria del territorio. E’ questa la speranza che ci deve muovere se vogliamo evitare che tutto vada distrutto.
Dobbiamo tornare a pensare il territorio come un’opera d’arte. Un’architettura della terra[2], dove ogni nostro gesto sia manifestazione di una Sunesis, di una comprensione intima, e di una compassione, della terra.
Oggi ricerchiamo la sola funzionalità ma alla fine non riusciamo ad ottenere neanche quella, perché l’utilità di una cosa dipende anche dalla sua stabilità e dalla sua bellezza.
Per questo il territorio non va considerato come cumulo di risorse ed è un passo avanti troppo debole assicurarsi soltanto la riproducibilità delle risorse, come vuole il concetto di sviluppo sostenibile.
Il valore del territorio è il valore stesso della comunità che lo abita.
Riteniamo il concetto di sostenibilità indispensabile ma non sufficiente per determinare la bontà di una scelta, la quale deve rivelarsi attraverso la consapevolezza del nostro agire nell’ambiente, indipendentemente da ragioni di utilità connesse alla compromissibilità o meno delle risorse.
Contrapponiamo al termine sviluppo, come liberazione dai legami col contesto, quello di limite come riconoscimento e rispetto di quegli stessi legami.
Principi generali
1 – Il territorio è un bene comune. Qualunque politica territoriale deve avere origine e fine nell'esclusivo interesse della collettività, secondo modalità coerenti con i caratteri fisici, morfologici, biologici, storico-culturali e paesaggistici propri del territorio considerato.
2 – Le strategie e le scelte delle amministrazioni locali in materia di politiche territoriali devono vedere il completo coinvolgimento delle comunità locali. Qualunque decisione in materia deve essere il risultato condiviso di una discussione aperta a tutti i i cittadini, ai quali va assicurata la possibilità di esprimere la propria opinione in sede di progetto, individuando la migliore tra le possibili situazioni, che privilegi il rispetto del territorio, dell'ambiente e della salute di tutti.
3 – Il territorio è un'opera d'arte. La sua architettura è il risultato di un processo storico di adattamento alla morfologia originaria da parte delle diverse culture umane che lo hanno abitato. Questo processo ha definito l'identità del luogo. Ogni intervento nel territorio deve comporsi nella sua architettura e riconoscerne l'identità.
4 – Il paesaggio è l'immagine del territorio. Il paesaggio è espressione autentica e vivida di un'idea di territorio, di una cultura. Pertanto non ha senso museificare un ideale paesaggio rurale per salvarlo dall'avanzare del paesaggio della periferizzazione urbana. Occorre affermare l'idea del territorio come opera d'arte perché il paesaggio ritorni ad essere immagine di bellezza.
5 – Il territorio – in particolare quello delle Marche – ha storicamente saputo coniugare lo spazio urbano e lo spazio rurale in un sistema insediativo diffuso dove i “vuoti” hanno il medesimo carattere strutturale dei “pieni”. Occorre porre dei limiti alle espansioni urbane in modo da salvaguardare gli spazi aperti che permettono di conservare l'organizzazione insediativa e l'identità dei diversi luoghi. Occorre dare “forma” ai luoghi di produzione in modo da renderli elementi definiti, capaci di porsi in relazione con le altre componenti del territorio. Ogni costruzione ha valore in sé, ma anche in quanto partecipe di una costruzione più grande, composta dalla città e il territorio.
6 – Il territorio è fatto di edifici, di strade, ma anche di colline e montagne, di boschi, di fiumi e di mare. Il territorio è soprattutto fatto di ciò che non è costruito. L'agricoltura è lo sfondo essenziale, costitutivo del territorio e del paesaggio delle Marche. Occorre qualificare l'agricoltura per riportarla alla base di ogni discorso sul territorio, promuovendo una economia basata sulla cooperazione tra le persone, sull'autoproduzione e l'autoconsumo. Gli spazi naturalistici, dove il suolo non è sfruttato a fini produttivi, garantiscono la tenuta bio-ecologica del sistema. Sono la linfa vitale di un territorio. Occorre favorire l'estensione e la connessione delle aree naturalistiche, attraverso il rinnovamento delle modalità di coltivazione dei suoli agrari, attraverso l'istituzione di nuove aree protette, attraverso l'estensione degli spazi verdi inseriti nelle aree urbanizzate.
7 – Le infrastrutture viarie sono spesso elementi che si sovrappongono ad un territorio. Mere connessioni virtuali di due punti, quelli della partenza e dell'arrivo. Le infrastrutture della mobilità sono al contrario elementi costitutivi dell'architettura di un territorio ed attraverso di esse definiamo in che modo noi stessi ci rapportiamo allo spazio che abitiamo. Per questo va favorita una mobilità basata sul trasporto pubblico rispetto a quello privato (bus, metropolitane di superficie, treni locali) e va incentivato l'uso della bicicletta incrementando la diffusione dei percorsi ciclabili. Per questo va utilizzata prioritariamente la ferrovia per il trasporto delle merci.
8 – Ogni intervento volto a modificare il territorio comporta un dispendio di energia. Ecco allora che occorre meditare bene l'opportunità di ogni gesto, in termini di necessità effettiva e di reale beneficio finale per la collettività. E' preferibile utilizzare bene ciò che si ha a disposizione prima di pensare di occupare nuovo territorio. E' meglio ristrutturare che ampliare ed è auspicabile, ove possibile, decostruire, là dove il limite è già stato superato.
9 – Il territorio non è un qualcosa di astratto da disegnare sulle carte, ma una realtà con una propria identità, seppur in divenire. Per questo ispirarsi al bioregionalismo significa tenere presenti le caratteristiche reali di un dato contesto territoriale: le vallate, i fiumi, le tradizioni degli abitanti, il tipo di flora, di fauna, ecc. Si tratta di riconoscere che i luoghi dove viviamo hanno una loro geografia e una loro storia. Capirlo ci può consentire di creare un rapporto armonioso con l'habitat naturale e favorire buone pratiche sociali, economiche, culturali. Impedire politiche territoriali schizofreniche, dove nel giro di pochi chilometri possano convivere scelte virtuose con logiche cementificatrici e distruttive per l'ambiente e gli esseri viventi.
Le Marche
1 – Seppur le nostra regione ha avuto un processo di industrializzazione meno invasivo rispetto ad altre zone del nostro Paese, ormai sono sotto gli occhi di tutti i danni arrecati da una politica industriale e urbanistica invasiva e fortemente impattante. E’ quindi prioritario avviare un processo che modifichi fortemente le scelte del passato.
2 – Il progetto Quadrilatero va assolutamente contrastato perché distruttivo e basato su una logica che vede il territorio come una grande torta da divorare. Inoltre saccheggia le casse dei Comuni facendo pagare ai cittadini una scelta sulla quale, ancora una volta, non hanno potuto avere voce in capitolo.
3 – E’ necessario redigere una mappa dei luoghi ad alto livello di inquinamento e avviare processi di dismissione di tali impianti. La Raffineria Api di Falconara è sicuramente uno di questi e la sciagurata scelta di rinnovare la concessione va rivista scegliendo una politica energetica regionale basata sulla riduzione dei consumi e sulle fonti rinnovabili così come dettato dal Piano energetico regionale approvato.
Ma oltre il caso della raffineria falconarese esistono, appunto, altre criticità, molte riconducibili alla questione energetica: dalle centrali fossili, alle infrastrutture energetiche portatrici di elettrosmog, (al problema delle centrali eoliche)°. Inoltre il problema pressante delle cave, con tutte le speculazioni che ci sono dietro e le pesanti conseguenze ambientali.
4 – Una piccola regione come la nostra non può subire una presenza asfissiante del traffico urbano ed extraurbano. Il nostro territorio ogni giorno deve subire un costante assedio dal traffico privato di ogni genere. Va rilanciata una politica della mobilità che limiti il pendolarismo e comunque metta il trasporto pubblico al centro del progetto. Per i centri lungo la costa deve essere lanciata una grande campagna atta a favorire l’uso della bicicletta come mezzo di spostamento.
5 – Le Marche hanno un'antica tradizione contadina. Negli ultimi decenni un processo di industrializzazione capillare ha snaturato questa sua vocazione, favorendo anche lo spopolamento del suo entroterra. In questi anni si è andata affermando un’agricoltura basata sulla qualità, basti pensare alla crescita del biologico, e sulla filiera corta, a discapito dell’agribusiness. Questa tendenza va favorita rafforzando il legame tra mondo dell’agricoltura e i cittadini. Inoltre le municipalità devono favorire quelle attività di piccola autogestione e autoconsumo (orti condominiali, recupero di piccole zone incolte) che cambino il volto delle nostre piccole città, spesso ormai diventate metropoli in miniatura.
6 – La piccola dimensione delle nostre città rende più facile il coinvolgimento dei cittadini di fronte alle scelte delle amministrazioni locali per quanto riguarda anche le politiche territoriali. La nascita un po’ ovunque, anche nella nostra regione, di comitati contro le decisioni dei Comuni dimostra come ci sia una cronica incapacità di promuovere percorsi di partecipazione per evitare che i cittadini si trovino di fronte al fatto compiuto. Naturalmente esistono anche comitati estremamente corporativi che si muovono in un’ottica estremamente settoriale e che stentano ad avere una visione più generale dei problemi. Ma la loro nascita testimonia un disagio diffuso che va orientato alla partecipazione e alla crescita di una coscienza ecologica che vada oltre l’aspetto specifico oggetto della mobilitazione.
7 – Le nostre zone montane sono un grande patrimonio di valenze naturali (acqua, aria, fauna, flora), e di fonti di energia rinnovabile (corsi e salti d’acqua, biomasse, venti) e, più in generale, di bellezze paesaggistiche, architettoniche, storiche e culturali: prati sommitali e gole, ma anche borghi di montagna, castelli e abbazie, testimonianze di un passato e di una storia importanti.
E’ un patrimonio che, escluso dalle massicce utilizzazioni e trasformazioni territoriali che hanno caratterizzato – spesso in modo caotico - i fondo valle e le zone di pianura e costiere, è tutt’oggi in larga misura espressione di un raro equilibrio ecologico. Si tratta, dunque, di un bene comune che va salvaguardato e protetto, ma anche valorizzato con modalità sostenibili.
La dismisura tra insediamenti nelle aree di pianura e costiere e insediamenti nell’entroterra va riequilibrato. Ma non si tratta di imporre a quest’ultime i modelli insediativi, spesso intensivi, deturpanti e speculativi, da “cementificazione selvaggia”, delle prime, bensì attraverso scelte che, nel rivedere gradualmente le politiche fatte in questi decenni sul litorale, favoriscano un riequilibrio basato sulla qualità degli interventi.
Per quanto sopra, nelle zone alto-collinari e montane, in una visione unitaria e integrata (olistica) del territorio regionale, vanno aumentate le aree naturali protette (parchi, ma anche riserve e ZPS)
Sulla costa va fermata la logica speculativa di cementificazione. Vanno invece proposte politiche urbanistiche basate sul riutilizzo degli edifici, su un turismo di qualità dove la riconversione ecologica delle strutture dia un segnale, anche attraverso il coinvolgimento e la sensibilizzazione degli operatori turistici, di netta inversione di tendenza. Bisogna inoltre tutelare le poche aree non ancora edificate sulla costa.
Vanno impediti tutti quegli insediamenti privati, industriali e della stessa proprietà pubblica lesive del territorio e del paesaggio.
8 – L'utilizzo intensivo dell'acqua dei fiumi a fini agricoli e industriali rischia di arrecare danni e alterare l'habitat. Una buona e virtuosa politica economica non può prescindere dal recupero dell'equilibrio idrogeologico, attraverso anche la ripiantumazione delle siepi, il rimboschimento dei fossi e dei corsi d'acqua, anche in un'ottica di recupero della biodiversità floristica e di rifugio della fauna selvatica.
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(*) alcuni hanno suggerito di modificare questo passaggio con il seguente (alle grandi centrali a biomasse)
[1] dalla definizione data da Marc Augè
[2] dalla definizione data da Amos Masè
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