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sabato 27 marzo 2010

Ricomporre la società

Commento all’articolo “un ceto politico senza classe” – di C.Carboni, pubblicato sul blog: www.lavitapubblica.it

Temo che l’inadeguatezza dell’attuale classe politica italiana non sia che un sintomo visibile di un male molto più profondo, insito in una società che non si è mai saputa coagualre attorno ad un'idea di Stato e di Democrazia con la necessaria sincerità.
Salvo rare e brevi occasioni, le componenti essenziali della moderna democrazia occidentale: i cittadini (intesi anche come produttori e consumatori), la classe intellettuale e la classe politica, hanno lavorato per dividere anzichè per unire, ampliando l'isolamento nel quale già si trovavano prima dell'avvento dell'unità d'Italia, e che mutò, rimanendo uguale a se stesso, nel nuovo ordinamento democratico, come ben ci racconta Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo.
Il ruolo della elìte borghese e della Chiesa nel determinare una Democrazia fragile ed una politica succube del potere di una piccola "casta" all'interno del popolo italiano, non può essere taciuto, e l'avvento del fascismo ne è stato, per molti versi, la prova evidente.
I diversi tentativi che fin dalle origini dello Stato Italiano hanno visto i cittadini tentare un avvicinamento, una nuova coesione con la classe intellettuale e quella politica sono stati sistematicamente deviati o repressi. L'ultimo, ancora vicino a noi, è stato quello del movimento giovanile e studentesco. Anche da queste repressioni nasce, nell'animo del Paese, l'antipolitica che, come rifiuto in se della politica è la negazione più profonda dello spirito democratico.
Con questo voglio dire che, a mio avviso, la responsabilità della crisi sociale del paese non è solo nell’inadeguatezza della classe politica, che pure è tangibile. Ma è nell'inadeguatezza di ciascuna delle componenti della società.
Il male è presente nei cittadini, sottoforma di tendenza al qualunquismo (non a caso fenomeno tutto italiano) ed alla ribellione pseudo-anarchica. "Pseudo" perchè fondata, all'opposto dell'anarchismo, su una sostanziale de-responsabilizzazione dell'individuo.
Anche il diffuso fenomeno "nimby" è il sintomo di una cittadinanza che pensa di poter fare a meno della società e di poter gestire il locale a prescindere dal generale.
Ma il male è presente anche nella classe intellettuale, naturalmente incline ad accomunarsi al "Principe" piuttosto che al popolo, come sottolineava Indro Montanelli. Una classe intellettuale che non solo non interviene in modo critico nella vita sociale, ma è pronta ad assecondare l'inettitudine della classe politica fino a coprirne le malefatte, pur di rimanere "a corte".
E infine il citato male della politica, espresso nella autoreferenzialità e nel farsi marionetta di un potere nascosto ma abilissimo nel muovere le fila dei personaggi della scena sociale italiana.
In questo scenario la tanto richiamata "partecipazione" non è che una delle azioni di convergenza verso una società coesa che è necessario intraprendere prima che l'intera struttura ceda su se stessa. Ognuna delle componenti della società italiana deve smettere di pensarsi autonomamente dalle altre.
Così occorre che i cittadini "cerchino" la politica e che lo facciano in modo costruttivo ed attraverso una crescita culturale. Occorre che la classe intellettuale "cerchi" il popolo e si faccia portatore di una sana critica alla classe politica, riconoscendo il ruolo sociale del sapere disciplinare di cui ciascun intellettuale è depositario. Occorre che la politica "cerchi" il popolo e la virtù della conoscenza, riscoprendo il ruolo di "servizio", anzichè di privilegio, del fare politica.
Soltanto così potremo sperare di liberarci dal quarto elemento sociale della democrazia italiana, quello veramente eversivo ed anomalo, costituito dalle cerchie di potere occulto che hanno fin qui dominato il Paese, entrando addirittura in prima persona, a volte come oggi, nel cuore della vita politica per controllarne il battito.

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