Le due Europe
E' ormai evidente, dopo il voto referendario in Catalogna, che siamo di fronte al fenomeno in gran parte inaspettato della ripresa del nazionalismo regionale su tutto il vecchio continente, fino al vicino oriente. Oltre alla Catalogna, la Scozia, l'Irlanda del nord, la Corsica, le Fiandre stanno attuando da qualche anno una nuova strategia verso l'autoderteminazione che si basa sull'acquisizione del consenso politico elettorale in modo da ottenere una maggioranza indipendentista.
I Curdi iracheni hanno votato la nascita del Kurdistan.
Si tratta, ad eccezione proprio del Kurdistan coinvolto nella guerra contro l'Isis, di processi democratici di autoderminazione.
I governi nazionali si oppongono a quella che viene bollata come deriva federalista. Reagiscono con inaspettata durezza, come accaduto in Catalogna, scatenando la violenza della polizia sui cittadini inermi. E lo fanno anch'essi in nome della democrazia tacciando di insubordinazione e ribellione chi semplicemente vuole esprimere in modo pacifico e democratico la sua volontà politica . Abbiamo sentito tutti il premier spagnolo difendere il suo operato e i manganelli della Guardia Civil in nome della Legge, della Costituzione e dell'Europa.
Che cosa sta accadendo? Siamo di fronte a scene che non vedevamo da decenni, forse da secoli. Perchè non si tratta di uno scontro partitico o ideologico, come accadeva negli anni settanta o durante l'avvento delle grandi dittature del primo dopoguerra, si tartta di uno scontro di popolo per una diversa organizzazione del potere. Qualcosa che assomiglia di più ai moti nazionalisti e repubblicani della prima metà dell'ottocento chi rivendica un cambiamento nelle regole del gioco della politica veniva caricato dall'esercito. Ed è bene ricordare che nella prima fase del nazionalismo europeo erano i borghesi, le classi agiate, a chiedere la Costituzione democratica ribellandosi al potere della nobiltà imbelle, non certo le masse operaie e contadine. Così oggi sono le regioni più ricche a chiedere di staccarsi di dosso il peso dello Stato centralizzato e assistenziale.
Ancora una volta però la società occientale è colta di sopresa da quanto accade e i mass media, esattamente come i politici, non sanno andare oltre ad affermazioni banali o a vaghe preoccupazioni di derive "populiste". Ciò che colpisce è soprtattutto il timore che i particolarismi regionali siano il sintomo di una disaffezione all'Europa, come se la "tenuta" degli stati nazionali fosse una garanzia della "tenuta " dell'Europa.
Sta di fatto che le regioni che rivendicano l'indipendenza sono solitamente ben più europeiste dei loro governi nazionali, come si può riscontrare in Scozia, in Catalogna o nelle Fiandre. E d'altra parte la crisi dell'Europa è qualcose di pregresso, costitutivo e fortemente condizionato dalla forza delle "nazioni sovrane". E' la forza della Germania che nel difendere i suoi interessi nazionali impedisce all'Europa di esprimersi nella politica internazionale e in quella economica. E' lo sciovinismo francese e la sua politica neocoloniale a frapporsi ad una soluzione efficace del fenomeno delle migrazioni dall'Africa occidentale. La guerra in Bosnia e quella in Ucraina sono state alimentate anche dalle Nazioni europee e mai l'Europa si è proposta come soggetto di risoluzione dei conflitti, restando sempre a guardare.
Se riflettiamo sul fenomeno del ritorno dei regionalismi, al di là delle considerazioni di Baumann nel suo libro uscito postumo sulla "retrotopia", non possiamo non considerare che forse la dissoluzione degli stati nazionali è invece un passaggio obbligato per ridare forza e senso ad una idea di Europa ormai morta. Proprio la mancanza di stati sovrani forti potrebbe garantire quell'equilibrio che eviti la supremazia dei una nazione sulle altre, e con essa l'imposizione di regole che vadano a scapito delle nazioni più deboli. La frammentazione degli organismi di governo locale darebbe certo più forza ed autorità a quello centrale che non potrebbe così fare a meno di una politica estera e di una politica della sicurezza condivise ed unitarie.
Forse la rinascita dei regionalismi non è un fattore negativo come vogliono farci credere, ma semplicemente il sintomo di un'altra visone dell'Europa che cerca di sottrarsi alle centrali della finanza di Francoforte e Londra, di dinamizzare una realtà soffocata dall'immobilismo dei grandi potentati, di diversificare realtà locali troppo dipendenti da un'oligarchia autoreferenziale che trova nelle Nazioni e nella farsa di un'Europa di comodo un modello che tutela bene i loro interessi e che pertanto che non intende modificare, che anzi è pronta a difendere anche con la violenza e la sopraffazione del popolo, se necessario, perpetuando la logica che il Potere ha sempre seguito nella storia dell'umanità.
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