pietas
Nel 1934, la mattina di uno dei primi giorni di maggio, mia madre, figlia di un operaio, nasceva in una delle case della Montedison. Case semplici, costruite dalla ditta per ospitare i dipendenti secondo l'abitudine della classe imprenditoriale di allora che vedeva nel produrre anche una dimensione sociale.
Domani, guardando negli occhi mia madre, dovrò per la prima volta nascondergli la verità. Non gli dirò che la sua casa non c'è più.
Non posso farlo perchè so che gli darei un dolore profondo nel dirglielo.
Per lei quella non era solo la casa della sua infanzia ma il cuore di un mondo. Un mondo legato al lavoro, all'odore acre dei fosfati, alle gente che si guadagnava il pane onestamente e onestamente, con dignità, viveva la sua miseria.
Non è il rudere malconcio, covo di sbandati rumeni, ad essere crollato sotto i colpi della ruspa stamattina. Questo è soltanto quello che ci può vedere un pover'uomo come il Sindaco. Quello che è stato demolito è l'amore e il rispetto per la storia della gente. Per "gente" mi riferisco sia agli anziani, alla loro vita vissuta della quale anche noi - che pure non l'abbiamo vista - siamo figli, ma anche ai nuovi ospiti di quella casa ai quali, dopo mia madre, proprio quella casa aveva saputo dare un riparo e dei quali aveva condiviso le tribolazioni, le paure, le umiliazioni.
Quei muri, quegli intonaci erano intrisi di passioni umane, di sguardi smarriti, di sogni di un futuro migliore... A saperli ascoltare, quei muri, raccontavano. A saperli vedere, sorridevano.
Dove andranno ora quelle persone che ho imparato a conoscere nelle fredde sere dello scorso gennaio... che mi hanno chiamato per nome, che mi hanno donato una canzone suonata con la fisrmonica? Andranno a chiedere alle vecchie case un pò di ospitalità. Alle case che, come loro, la gente per bene rifiuta, scarta, butta via. Con loro condivideranno l'esistenza fintanto che le ruspe della gente per bene non verrano ancora a spazzare via entrambi.
Ma sotto i colpi delle ruspe non fate che distruggere il vostro passato (le case) e il vostro futuro (i nuovi residenti) in nome di un presente che pensate eterno e immobile, mentre invece, privato del passato e del futuro, quel presente si spegnerà come la fiamma di una candela sotto la pioggia lasciandovi soli, nel buio.
Ed io per questo ora, qui, assieme alle vecchie case ed agli amici rumeni, provo davvero pietà di voi.
1 Commenti:
Oggi pomeriggio, tornando dal lavoro, ho notato un cambiamento del paesaggio. Nell'immediato non avevo nemmeno realizzato cos'era quel vuoto. Poi ho visto i mucchi di calcinacci e mi si è stretto il cuore. Hanno cancellato un pezzo della mia storia. Mio padre lavorava nella cooperativa facchini in forza alla Montedison. Ho pensato: "per fortuna che è morto prima di vedere questa scarsa considerazione della memoria storica". Qualche mese fa, due signori di Falconara che spesso vengono a mangiare al ristorante presso cui lavoro, mi hanno regalato un libro che testimonia la storia della Montedison. Tanti documenti, tante foto di uomini che hanno lavorato in quello stabilimento, tanti ricordi legati alla mia infanzia. Arrivata a casa ho ripreso quel libro. E ho letto che la soprintendenza aveva "consigliato", pur non ponendo vincoli legali, di non demolire nè uno dei magazzini costruito con particolari caratteristiche, nè le abitazioni riservate agli ex dipendenti. Perchè costituivano memoria di un genere di architettura industriale. Ma il sindaco di Falconara avrà pensato che questo sarebbe stato un bel colpo d'immagine per la sua figura e per la sua caratteristica intransigenza verso gli "irregolari". Per fortuna non è sindaco del mio paese.....altrimenti dovrei pensare che, se ora quelle persone si trasferissero al Mandracchio di Marina.... farebbe demolire anche quello! Non rendendosi conto (o forse si) che ora che le abitazioni sono state accartocciate, i senzatetto si sposteranno nei capannoni adiacenti. Tanto polverone per nulla. Condivido il pensiero di Carlo: certe persone non riesci nemmeno ad odiarle. Possono solo suscitare pena.
Angela Ciaccafava.
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