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martedì 7 febbraio 2012

il patrimonio territoriale come bene comune

Stavo accingendomi ad affrontare uno dei temi a me più cari relativamente alla costruzione della società futura: il governo del territorio, quand'ecco che Alberto Magnaghi ( il "grande vecchio" del pensiero ecologista-territorialista, autore del bellissimo saggio "il progetto locale") pubblica un articolo sul Manifesto al quale sento di non potere e non dovere aggungere alcunchè. 
Eccolo:


Per ragioni di simmetria vorrei aggiungere un settimo pilastro ai sei che Guido Viale enuncia (il manifesto del 2 febbraio) come alternativa strategica ai sette della saggezza del governo avanzati da Alberto Asor Rosa.
Si tratta della valorizzazione del patrimonio territoriale come bene comune. Anzi forse più che di un pilastro si tratta di un plinto di fondazione che regge gli altri sei.
Con la maturità della modernizzazione si sono consolidati i concetti di patrimonio naturale (bellezze naturali, biotopi, zone umide, parchi naturali) e culturale (siti archeologici, monumenti, centri storici) per i quali l'Unesco, il Consiglio d'Europa e molti altri organismi sovranazionali promuovono politiche di conservazione.
Si è cosi consolidato nel tempo un doppio regime di governo del territorio: da una parte una porzione di territorio minoritaria e puntiforme (i beni del patrimonio naturale e culturale appunto) "tutelata" rispetto alle leggi dello sviluppo economico; si tratta di una compensazione (o cattiva coscienza?) nei confronti dell'altra parte del territorio ( che va dal 70 al 90%) sottoposto invece alle suddette leggi, nonché al saccheggio e al consumo in quanto mero supporto tecnico della civiltà della tecnoscienza, ovvero di un processo produttivo fondato sulla edificazione di un insediamento umano totalmente artificiale, liberato dai "vincoli" della natura e della storia. Tuttavia, con la crescita di consapevolezza culturale e sociale della insostenibilità di questo modello schizofrenico, ne è iniziata da tempo l'erosione a partire da diversi ambiti culturali di controtendenza, che hanno operato una sorta di "scavo delle fondazioni" di una nuova visione ecologica e territorialista, che ha messo in causa la concezione stessa di "patrimonio".
Esemplifico alcuni di questi "scavi" (senza purtroppo lo spazio per documentarli):
1. Molte ricerche, progetti e piani territoriali sperimentano metodi e pratiche di integrazione multisettoriale, partecipativa e multiscalare del governo del territorio; affrontano dunque il passaggio da forme di pianificazione regolativa rispetto agli squilibri dei sistemi di produzione e di mercato dati (nei quali territorio, ambiente e paesaggio avevano un ruolo strumentale), a modelli di pianificazione identitaria e statutaria che assumono il patrimonio locale e il suo governo sociale come mezzo di produzione di ricchezza durevole, attraverso forme di neomunicipalismo;
2. Molti studi e progetti urbani rifocalizzano l'attenzione dalle politiche espansive con forte consumo di suolo agricolo e modelli di urbanizzazione periferica e diffusiva verso la rigenerazione e il recupero dell'urbanità e degli spazi pubblici, il superamento delle periferie verso modelli policentrici di città di città, la riqualificazione dei rapporti fra città e campagna, attribuendo alla agricoltura periurbana compiti complessi di riqualificazione dell'abitare urbano;
3. Le frontiere innovative delle discipline e delle politiche agroforestali superano l'orizzonte dei programmi di ottimizzazione dell'economia aziendale verso la pianificazione integrata e multisettoriale degli spazi aperti (agricoltura di qualità e tipica, salvaguardia idrogeologica, complessità ecologica, qualità paesaggistica, reti corte fra produzione e consumo, ripopolamento rurale e valorizzazione dei paesaggi rurali storici);
4. Le discipline che affrontano il patrimonio ambientale e culturale registrano in alcune esperienze di piani regionali e di area vasta una discontinuità progettuale fra le politiche di conservazione di aree protette caratterizzate dalla separazione fra natura e cultura e una concezione patrimoniale integrata dell'ambiente (reti eco-territoriali) e del territorio (progetti di territorio, di bioregioni, di paesaggio) estesa a tutto il territorio regionale;
5. in questo percorso le discipline archeologiche vanno attribuendo centralità ad un approccio territoriale globale, passando dalla priorità del sito a quella del contesto territoriale e paesaggistico, con interpretazioni multidisciplinari e multifattoriali; nel quadro di una tendenza più generale a considerare i sistemi di beni culturali come parte integrante e interconnessa del patrimonio territoriale; ciò comporta, ad esempio, i passaggi concettuali dal museo all'ecomuseo, dal centro storico al territorio storico, dalle eccellenze paesaggistiche ai paesaggi rurali e urbani nella loro integrità territoriale, ambientale e di uso sociale (mondi di vita delle popolazioni, secondo la Convenzione europea del paesaggio);
6. Molte ricerche e sperimentazioni locali in campo energetico spostano l'attenzione verso i bilanci energetici territoriali, il risparmio e la produzione locale di energia da fonti rinnovabili; nelle esperienze più avanzate, esse si incentrano sulla produzione di mix energetici locali in coerenza con la valorizzazione delle peculiari qualità energetiche del patrimonio territoriale e del paesaggio;
7. Le discipline idrogeologiche spostano da tempo l'attenzione progettuale dai piani settoriali impiantistici di mitigazione del rischio idraulico e inquinologico verso piani integrati di bacino che mobilitano, nelle esperienze più avanzate, relazioni multisettoriali per rendere coerenti fra loro azioni relative alla sicurezza idraulica, alla riqualificazione ambientale e paesaggistica, all'agricoltura di presidio, ai corridoi ecologici, ai beni culturali, al turismo, alla mobilità dolce, alla navigabilità; questi piani attivano nuovi strumenti partecipativi come i contratti di fiume e i piani di sottobacino mobilitando le energie sociali dei territori di riferimento;
8. Molti progetti e politiche infrastrutturali si riposizionano, rispetto alle visioni che privilegiano l'attraversamento del territorio (piattaforme logistiche, alta velocità, grandi corridoi) verso visioni integrate delle infrastrutture come servizio alla fruizione dei sistemi locali territoriali (integrazione dei sistemi infrastrutturali, sviluppo della mobilità dolce, recupero della viabilità storica su ferro e su gomma, per la fruizione dei beni e dei paesaggi locali);
9. Molti approcci distrettualisti ai sistemi economici locali sono evoluti verso le tematiche dello sviluppo locale; trattando in questo passaggio sia filiere integrate dall'agricoltura, all'artigianato, alle piccole e medie imprese, al terziario avanzato; sia le relazioni fra tipologie dei sistemi produttivi e qualità e valorizzazione dei patrimoni ambientali, territoriali, energetici e paesaggistici;
10. Componenti rilevanti delle discipline geografiche affrontano le relazioni fra il "mondo e i luoghi" evidenziando il ruolo dei milieu locali e dei sistemi locali territoriali nei processi di sviluppo e nella rideterminazione delle relazioni fra locale e globale;
11. Le discipline storiche, antropologiche e giuridiche sviluppano attenzione all'ambiente, al territorio, ai modelli socioculturali di lunga durata, ai modelli di gestione partecipata dei beni comuni; cosi come le problematiche filosofiche riaprono il discorso sulla Terra, sul paesaggio, sull'etica della cura, approfondendo le relazioni fra formazione del pensiero e luoghi.
Questi mondi culturali, protesi a ridefinire il protagonismo del patrimonio territoriale nella conversione ecologica e /o territorialista della società, costituiscono essi stessi un patrimonio diffuso, operante in controtendenza in molte università, centri di ricerca, enti di governo del territorio; di questi mondi intendiamo dare testimonianza attiva nella neonata Società dei territorialisti e delle territorialiste (www.societadeiterritorialisti.it).
È dal crescere di queste culture che un nuovo concetto di patrimonio territoriale (che integra patrimoni ambientali, urbani, insediativi energetici, agroforestali; saperi, sapienze e modelli socioculturali locali) prende corpo come base per un'altra concezione di produzione della ricchezza fondata sulla sua valorizzazione.
Ma il passaggio decisivo in questo percorso è stato ciò che ho messo emblematicamente a sottotitolo del mio testo "Il progetto locale": la crescita di coscienza di luogo, ovvero la trasformazione culturale che ha investito il pullulare esponenziale di vertenze territoriali, dallo specifico tema della mobilitazione, alla ricostruzione del senso di appartenenza collettiva a un territorio di cui si riscoprono, si riconoscono e si riappropriano, nel corso delle lotte, valori, identità, paesaggi, culture produttive e artistiche semisepolti, di cui prendersi cura come beni comuni.
È qui che il percorso di riconoscimento del patrimonio territoriale come bene comune, base materiale e immateriale per la produzione di ricchezza durevole, assume il suo spessore culturale e politico. È a questo punto che i soggetti variegati che ho elencato, che esprimono nel loro insieme una nuova cultura operante della trasformazione, se valorizzati in nuove forme di committenza "sociale", possono cooperare alla crescita di aggregati societari locali composti da cittadini-produttori, da nuovi agricoltori, da intraprese economiche a valenza etica; a condizione che interagiscano con questi aggregati governi locali e strutture finanziarie finalizzati alla crescita del benessere sociale e della felicità pubblica, e all'attivazione di forme di autogoverno per la gestione sociale dei beni comuni.

Alberto Magnaghi

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