risparmiare, riqualificare, occupare
Bisognerebbe riqualificare la città, ma non ci sono i soldi...bisognerebbe stimolare nuova occupazione, ma non ci sono i soldi. Sono le affermazioni ripetute in coro dalle amministrazioni locali che si basano tutte su un assunto: senza soldi dobbiamo pensare a "sbarcare il lunario" dimenticandoci dell'obiettivo di migliorare le condizioni della vita civile, rinunciando al futuro.
Ma siamo davvero sicuri che coniugare risparmio di spesa pubblica, riqualificazione della città e individuare nuove opportunità occupazionali sia un'impresa impossibile? Siamo sicuri che in tempo di crisi non ci siano le condizioni di perseguire la buona politica?
No, io non ne sono affatto sicuro. Penso anzi che la crisi, la mancanza di fondi, possa essere uno stimolo, un invito a cambiare il modo e il "senso" della gestione della cosa pubblica.
Pensiamo alle nostre aree verdi. Oggi il Comune spende migliaia di euro per una manutenzione insufficiente che espone molte di queste aree al degrado favorendo la loro frequentazione da parte di persone che vedono nel degrado un rifugio e un'opportunità. La risposta del Comune è quella di mandare volontari a esercitare una sorta di azione di polizia per contrastare l'avanzata della marginalizzazione sociale.
Ciò significa ridursi a gestire il degrado, rinunciando alla missione di migliorare, cambiare positivamente la città.
Ma se invece di comportarsi da semplici gestori-burocrati, si pensasse a svolgere pienamente il ruolo di "amministratori", ci si accorgerebbe che l'unico modo per invertire il processo di degrado è quello di portare gente nei luoghi pubblici. Per fare questo occorre incentivare nuovi usi compatibili tra quelli rispetto ai quali è evidente la presenza di una domanda sociale.
Con una popolazione che invecchia sempre di più e che soffre gli effetti della crisi l'idea di destinare buona parte delle nostre aree veredi alla realizzazione di orti urbani può essere una risposta adeguata.
In cambio dell'uso delle aree pubbliche e nel rispetto di un preciso protocollo, si può chiedere ai fruitori un canone di affitto o l'impegno a gestire la restante parte del verde. La presenza costante di persone nelle aree verdi favorirebbe poi la possibiltà di collocare strategicamente dei chioschi-bar. Strutture leggere che si offrano come punti di incontro per giovani ed anziani capaci di garantire nuova occupazione e nuove entrate per le casse comunali da dedicare alla manutenzione del verde.
Se ben programmato questo nuovo modello gestionale potrebbe garantire l'autosostentamento delle aree verdi o, detto i altri termini, l'azzeramento della spesa pubblica dedicata a quel settore.
Certo è che l'entità della riduzione del flusso di entrata nelle casse comunali imposto dalla crisi e dal debito pubblico è ormai un fattore strutturale che impone anche di riconsiderare l'ampiezza del servizio pubblico ed il livello di parteciazione diretta del cittadino nella gestione della cosa pubblica.
Un aspetto da riconsiderare è ad esempio il concetto di "pertinenza" dello spazio privato rispetto a quello pubblico. Oggi la divisione della responsabilità nella cura degli spazi tra publico e privato è regolato dai perimetri catasatali delle aree per cui la mia responsabilità di privato proprietario di un immobile finisce sulla recinzione, al di là della quale ci pensa il Comune. Unica eccezione considerata è quella relativa al "decoro" urbano che consente al Sindaco, in casi di accertata gravità, di ordinare interventi di risanamento di edifici o spazi privati.
Se estendiamo il concetto di decoro, riferito all'ambito di percezione, al concetto più esteso di "cura", riferito all'ambito di relazione, potremmo individuare alcuni spazi pubblici intimamnete legati alla presenza degli spazi privati e funzionali in modo particolare ad essi.
Prendiamo l'esempio di un marciapiede antistante ad un'abitazione.
Se è vero, come è vero, che l'usura a cui è soggetto quel marciapiede dipende in massima parte dalla fruizione pedonale o carrabile da parte dei proprietari dell'abitazione adiacente; se è vero, come è vero, che il marciapiede costituisce una protezione ed un accesso all'abitazione stessa; non sarebbe allora giusto che il proprietario dell'abitazione si prenda "cura" della manutenzione di quel marciapiede?
Quanto potrebbe risparmiare un Comune semplicemente introducendo questo novo modo di interpretare il rapporto pubblico-privato?
E se si introducesse, come forma di progresso civile, anche l'idea che ciascun cittadino debba dedicare almeno quattro ore a settimana in lavori di manutenzione dei beni pubblici o in servizi di assistenza sociale, a partire dalle situazioni di vicinato, con la possibilità di pagare altri soggetti per farlo al suo posto, non avremmo conseguito questo risparmio di risorse pubbliche assieme ad una riqualificazione sociale e ad un contributo alla messa in moto di nuove economie e nuove forme di occupazione?
Ho detto che in questo blog non mi voglio più occupare di politica ma soltanto offrire ai politici alcune idee per l'urbanistica e il territorio di Falconara, ma la politica torna fuori inevitabilmente ogni volta che si definiscono azioni concretamente possibili ed è, inevitabilmente, una politica nuova e diversa, lontana anni luce dalle frasi fatte dei nostri amministratori, dei vaghi programmi elettorali, dalle varie "agende" scritte con orizzonti e finalità che nulla hanno a che fare con i soli obiettivi che la politica dovrebbe avere: il benessere dei cittadini ed il progresso sociale.
1 Commenti:
Buongiorno Carlo,
sono rientrato a Falconara dopo molti
anni di permanenza in Romagna,
Falconara vive un degrado evidente,
e la prima responsabilità è proprio
dei suoi abitanti in seconda degli amministratori.
Da parte di entrambi vedo un lassismo
pericoloso, quella della mancanza di fondi è una scusante puerile, quello che dici a riguardo di interessarsi in prima persona delle cose che ti stanno vicine può essere un primo passo nel migliorare la vivibilità della città.
Eleuterio
Posta un commento
Iscriviti a Commenti sul post [Atom]
<< Home page