Il destino degli sconfitti
Nel pomeriggio di ieri sono stato chiamato a presentare un progetto per il Porto di Ancona che io ed Amos concepimmo nel 2003 ma che, evidentemente è ancora attuale.
Ricordo che quando fu proposto ai consiglieri comunali ed all'autorità portuale ci fu un silenzio tombale. Alcuni soltanto, di quelli che seguivano le cose del porto, parlò con scherno del "solito disegnino" fatto da strampalati architetti sognatori...
Ma come accade sovente a noi, misconosciuti in patria, che offriamo tuttavia le nostre proposte progettuali alle istituzioni per risolvere gli annosi problemi che impediscono - così si ripete sempre - alla città di risollevarsi e di progredire, dopo il rifiuto pubblico si assiste alla silenziosa assunzione di quelle idee, prese a brani, una ad una e ricomposte senza criterio in un "nuovo progetto" che appare come la grottesca imitazione del progetto originario, del tutto incapace, rispetto a quello, di aprire ad un nuovo scenario urbano, di cambiare davvero la situazione.
Così ci accorgemmo, negli anni, che si abbandonò il proposito di portare il porto peschereccio davanti alla frana Barducci, cosa che noi sostenevamo essere una follia; che la stazione marittima venne spostata dal porto "storico" al molo sud; che l'espansione della banchina merci, posta in orizzontale e parallela alla costa nel Piano del Porto, viene modificata per proiettarsi in senso perpendicolare alla costa fino alla diga foranea, proprio come disegnato da me e da Amos.
Segno inequivocabile di un lento, ma deciso ripensamento a favore della nostra proposta che mi illudeva circa una nuova attenzione che la città avrebbe avuto rispetto a quel progetto che, in qualche modo, aveva vinto sul campo.
E invece ieri, alla riproposizione del progetto, la reazione è stata esattamente quella di dieci anni fa, anzi oserei dire ancora più ostile.
Di fronte alle lamentele, ai gridi d'allarme sulla condizione del porto ormai giunto allo stremo, con l'occupazione ai minimi storici e nella totale assenza di prospettive, lo stimolo rappresentato dal progetto ha prodotto una reazione di chiusura. Un moto d'orgoglio contro la critica implicita nella individuazione di nuove soluzioni, come si avesse fastidio e paura di quella critica.
Anzichè ascoltare, discutere ed approfondire le nuove proposte, per cercare di capire se possano rappresentare una via di uscita, l'atteggiamento è stato quello di contrapporsi a chi "da fuori" non può capire la complessità del porto - come se il porto fosse uno spazio esclusivo e ne potesse parlare solo chi ci lavora - giungendo perfino a negare l'assunto della crisi, affermando che "il porto oggi non è poi così male"...
I gloriosi cantieri navali, i "mai domi" arsenalotti, continuano ad elemosinare commesse in un mercato che non vuole e non sa trovare un ruolo per Ancona. Fermi nella convinzione che soltanto l'impresa pubblica può fare cantieristica, se provi a parlare di autogestione, di ricerca di soluzioni di qualità nel settore, di specializzazione, di proposte in cui i lavoratori divengano protagonisti del proprio lavoro, sei guardato come un nemico, un infiltrato che fa gli interessi di chissà chi, un destabilizzatore. Senti la paura, in loro, di un salto nel buio anche se proprio il buio è la sola prospettiva che oggi gli da l'azienda assieme alle istituzioni pubbliche..
Da un lato si chiede aiuto, dall'altro lo si rifiuta quando questo aiuto - guardando a qualcosa di nuovo - mette in discussione ciò che è stato fatto finora e chi lo ha fatto. Si vorrebbe cambiare senza cambiare nulla. Forse per paura di perdere il proprio ruolo, forse per paura di avventurarsi in terreni non ben conosciuti.... in ogni caso si tratta essenzialmente di paura.
Mi è venuto in mente, alla fine della conferenza, il bellissimo articolo di Andrzej Stasiuk comparso pochi mesi fa su l'Espresso e che qui allego. Un brevissmo racconto che descrive l'incapacità degli indifesi di opporsi ai predatori e l'attesa, la terribile fatale attesa del predatore in cui si condensa l'intera loro esistenza.
Penso sia questo l'atteggiamento che tiene al giogo Ancona, che rende possibile vicende politiche come quelle di Sturani e di Gramillano; che rende possibile storie come quella dell'Ancona Calcio, o situazioni come quella dell'ex Metropolitan, del teatro delle Muse, dell'Umberto I...
Ancona non cambierà se non cambieranno gli anconetani, se non la smetteranno di avere paura e di negarlo fingendo un assai poco credibile, ruvido orgoglio.
E penso che in fondo tutto sia ancora come quando Leopardi, parlando della "sua" gente, notava come questa mostri più fastidio per chi indica pubblicamente l'origine del male - di cui tutti si lagnano - rispetto al male stesso.
Guardo fuori ed è primavera. Il prugno davanti alla finestra è tutto in fiore e danza dolcemente nel cielo azzurro.
Perchè mai, mi chiedo, continuo a dolermi per Ancona?
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