X FALCONARA

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giovedì 26 aprile 2012

il nuovo ordine mondiale

Nei libri di storia sembra che dopo la fine della guerra fredda e la caduta del muro di Berlino gli eventi accaduti siano stati di minor rilevanza, legati a una generale crisi economica, allo sviluppo dei paesi emergenti e poco più.
In realtà, dopo la caduta dell'internazionale comunista, il cantiere della costruzione del "nuovo ordime mondiale" ha lavorato senza sosta creando oggi le condizioni per l'avvento di situazioni fino a pochi anni fa del tutto imponderabili e ancora lontane dal nostro abituale pensiero.
La globalizzazione dell'economia è stata una precisa scelta politica che è coincisa con l'attribuzione di un potere pressochè illimitato all'alta finanza.
In Europa questa scelta ha preso forma anche nella unificazione della moneta (solo di quella) ed in un potere sempre maggiore, di controllo prima e di interdizione poi, affidato alla banca centrale, la BCE.
Nella società globale, al posto delle sette-otto nazioni che reggevano le sorti del mondo, ora ne troviamo venti e si parla di aggiungerne altre, di modo che non ci sono più nazioni o gruppi di nazioni capaci di prendere il sopravvento. Il G20 assomiglia sempre più a una brutta copia dell'Onu, buona soltanto per operazioni di facciata.
La verità è che le nazioni non decidono più i destini del mondo. Se prima le oligarchie economiche e culturali dell'occidente si servivano delle nazioni per competere e conquistarsi spazi, oggi, nella prospettiva di una oligarchia riferita all'intero pianeta, semplicemente le nazioni non servono più, anzi sono soltanto fonte di possibili problemi.
Lo si è visto nelle guerre in Iraq e nel Kosovo. Lo si è visto in Libia, in Egitto, in Siria. Lo si è visto, con ancora più chiarezza in Grecia ed in Italia, dove le oligarchie economiche-finanziarie (d'accordo col Vaticano per quanto rigarda almeno l'Italia)  hanno creato un governo non eletto dal popolo per fare ciò che alla finanza conviene.
Ma da chi sono composte  queste oligarchie"?  Sono i grandi potentati storici, quelli che hanno attraversato i secoli, quelli che hanno posto le basi della finanza liberale, che si riconoscono nella massoneria, nell'Opus Dei, e in altre congregazioni votate alla costruzione di un nuovo ordine mondiale fondato sulla supremazia dell'Idea e della Legge, sull'uomo.
Noi possiamo soltanto entrare a far parte di questo progetto come servitori, esattamente come quegli schiavi che 3000 anni fa costruirono le piramidi.
E' possibile parlare di democrazia in questo contesto? Certamente no, a meno di non tornare a riferirsi alla democrazia-farsa gestita per mezzo dei partiti, quali strutture di controllo e di imbonimento delle masse.

Quando ci troviamo a ragionare intorno al "fare politica", anche a livello locale, non possiamo non considerare quello che sta accadendo nel mondo. Sia perchè appariremmo davvero ingenui e sciocchi se pensassimo di poter incidere in qualche modo in una società nella quale non ci accorgiamo di essere semplici servi. Sia perchè se non si compie una scelta radicale e netta - di scala globale - non si risolveranno mai neanche i problemi locali.
I comuni oggi sono tutti ridotti alla crisi finanziaria. Se guardiamo alle cose del mondo capiamo immediatamente che questo non è un caso (la colpa di Carletti o di altri presunti cattivi amministratori) ma è una precisa volontà del "Sistema". La debolezza dei Comuni rende debole le comunità e rende i cittadini soli, ed è più facile asservire singoli individui che gruppi organizzati.
Come si esce dalla crisi finanziaria? Se pensiamo di uscirne andando a chiedere all'economia della finanza, alle banche e seguendo le indicazioni che queste ci danno, direttamente o per mezzo dei loro alfieri di Governo, allora siamo proprio dei cretini e ci meritiamo di essere trattati da servi.
Uscire dalla crisi significa non accettarne i presupposti. Significa rifiutarsi di collaborare col sistema economico e finanziario prima ancora che con quello politico-istituzionale rappresentato dai Partiti.
Uscire dalla crisi significa smettere di giocare alle regole che ci vengono imposte. Una ribellione pacifica, condotta non la pratica della de-sistenza. 
Desistere significa smettere-di-stare in questo tipo di mondo. Significa uscire, andarsene.
Si può iniziare a farlo pensando, ad esempio, di trasferire i propri risparmi dalle varie banche esistenti ad una nuova struttura bancaria, fatta dai cittadini, che potremmo chiamare (come stanno facendo esperienze in corso in Baviera) "Banco democratico".
In Italia per fare una banca BCC è sufficiente un capitale di 2 milioni di euro. Immaginiamo 200 famiglie che mettono 10.000 euro ciascuna, o 1.000 famiglie che mettono 2.000 euro. Immaginiamo un'intera comunità cittadina che crea la "sua" banca e decide, nelle assemblee, come utilizzare gli utili, finanziando operazioni capaci di rivitalizzare l'economia, di indurre progresso tecnico e sociale, di aiutare chi è in difficoltà, di premiare i virtuosi. Immaginiamo che la banca sostenga il Comune, lo aiuti ad uscire dal tunnel degli interessi, degli spread, dei derivati...
Un Comune, sostenuto da una Banca, che lavori per creare nuova imprenditoria giovanile nei servizi, e produca ricchezza. Non è un sogno, alcuni comuni lo stanno gia facendo, come a Capannori in provincia di Lucca.
Si tratta solo di maturare la consapevolezza che dobbiamo sottrarci al folle disegno che campeggia, da oltre due secoli, sulla banconota del dollaro. Fuggire dal delirio messianico di crede nell'avvento di un ordine basato sull'asservimento dell'umanità e restare invisibili allo sguardo del grande occhio che, dall'alto della piramide in costruzione, già controlla ogni angolo del pianeta.

venerdì 13 aprile 2012

La scelta


Può sembrare assurdo o esagerato, in tempi di crisi, rinunciare ad una serie di incarichi professionali perchè non si è d’accordo con la politica urbanistica condotta dall’Amministrazione comunale.
I più malevoli azzarderanno motivi di non precisati interessi “altri” che si celerebbero dietro il paravento dell’etica,  la cui ostentazione è per essi una inaccettabile volontà di dirsi estraneo alla comune prassi della connivenza e dell’omertà.
Dicano quello che vogliono, queste persone, per continuare a convincersi di non essere colpevoli pur partecipando attivamente alla devastazione civile, grazie all’alibi del fatto che tutti, come loro, vi partecipano.   
Certo la mia scelta è uno scandalo, ma non è lo scandalo il fine. E’ semmai una condizione che purtroppo non posso evitare perchè non dipende da me, ma da coloro che la vedono come tale.
Il fine della mia scelta è semplicemente quello di affermare la fedeltà ai valori dell’architettura e della cultura della città. Fedeltà alla terra e alla bellezza del paesaggio come opera consapevole della civiltà umana.

Ho partecipato, non senza dubbi, al bando che l’amministrazione comunale ha lanciato relativamente alle aree di versante a sud e ad ovest della collina di Falconara Alta per verificare la volontà dei proprietari di edificare. Nel partecipare ho fissato quelle condizioni che sole potevano giustificare una proiezione verso una edificazione diffusa di cui oggi non si mostra alcuna necessità.
Queste condizioni riguardavano, in sostanza, l’avvio di un ripensamento complessivo del sistema territoriale e insediativo di Falconara che fosse capace di indurre il defaticamento del versante a mare e il ribaltamento del sistema di accessibilità viario.

Non solo questa visione complessiva non è stata attivata, riducendo il tutto ad una ricerca di lotti edificabili per fare cassa, ma si sono introdotti dei meccanismi urbanistici dichiarati “innovativi” e che tuttavia inducono e favoriscono, in effetti, le stesse logiche  speculative di sempre.
Ciò che si sta facendo a Falconara, al di là della volontà o meno dei tecnici ideatori di immaginare altri e più virtuosi risultati, è esattamente ciò che la pianificazione urbanistica  dovrebbe evitare. In questo senso è comunque utile parlarne ed analizzarne i contenuti, per elaborare, in negativo, l’immagine di una nuova prassi che ci riporti alla costruzione consapevole della città e del territorio.

Vediamo quali sono gli aspetti peculiari dell’idea urbanistica dell’amministrazione Brandoni (e non solo):

L’inesistenza di un disegno di città e l’assunzione dello sprawling urbano come modello.   La manifestazione di interesse da parte dei privati non è usata come strumento di conoscenza per poi elaborare un progetto di architettura della città. L’insieme delle proprietà che vogliono edificare vengono assunte come “disegno” della città. Disegno su cui, a posteriori, si andranno a collocare le strade e i servizi, assumendo così coscientemente come motore della pianificazione quel processo di dispersione urbana che fino a ieri era sinonimo di assenza di pianificazione e di degrado territoriale.
La perequazione come spartizione delle plusvalenze: il bottino.
La motivazione indotta a giustificazione del valore monetario aggiuntivo richiesto dal Comune a chi edifica (circa 188 € a mq oltre agli oneri urbanistici) è che questo determinerebbe una pari riduzione del prezzo delle aree edificabili. In altri termini agirebbe su quella plusvalenza tra il valore del suolo agricolo e il valore del suolo edificabile che il proprietario dell’area si trova ad avere per effetto non di un suo lavoro o merito, ma solo per effetto della variazione di destinazione urbanistica stabilito dal PRG.
Un guadagno quindi immeritato, quello del privato, del quale l’amministrazione esige una parte da spendere per interventi di pubblico interesse.
Sembrerebbe, a prima vista, un discorso equo e responsabile. Ma la verità necessita di tempo e di profondità di sguardo per venire alla luce, smentendo spesso l’apparenza.
  Innanzi tutto è solo ipotetico che quel costo aggiuntivo vada a ridurre il valore delle aree edificabili. Più facile che questo invece rimanga inalterato e il costo aggiuntivo chiesto dall’Amministrazione vada a sommarsi, in massima parte, ai costi dell’impresa andando ad incrementare il prezzo finale dell’abitazione. Così, ad esempio, un’abitazione che poteva costare 2400 € al mq. ne costerà 2600.
Ma l’aspetto più preoccupante è quello del “significato” civico della perequazione.
La riflessione sul plusvalore come guadagno immeritato del proprietario del suolo non è cosa nuova. Già nel 1940 l’INU, nel motivare le scelte della nuova Legge urbanistica, dichiarava in modo molto chiaro che la plusvalenza non appartiene al privato ma all’Ente pubblico che determina la variazione di destinazione urbanistica. L’INU parlava allora espressamente di “speculazione” in riferimento alla plusvalenza, che doveva essere eliminata alla radice onde evitare che questa facesse lievitare impropriamente il costo delle abitazioni e innescasse fenomeni di aggressione al territorio.
L’INU e la Legge urbanistica introdussero allora l’esproprio come strumento per eliminare la plusvalenza.
La moderna “perequazione” invece, nel riconoscere che la plusvalenza è speculazione, ne chiede al privato una parte. Chiede cioè la spartizione del bottino che si forma attraverso la speculazione edilizia. In questo modo l’Amministrazione comunale diviene “complice” della speculazione e si pone nella stessa ottica di chi guarda avidamente al territorio come un indistinto suolo su cui edificare e fare profitto.
La complicità con i processi di speculazione edilizia è quindi connaturata alla moderna perequazione urbanistica. Questo assunto teorico, si manifesta poi inevitabilmente in concreto.
Prendiamo ad esempio il bando di Falconara Alta e definiamo le condizioni operative di tre possibili soggetti attuatori degli interventi previsti. Avremo il caso del piccolo proprietario di un lotto che vuole costruirsi la casa per se e la propria famiglia; il caso del piccolo proprietario che vuole vendere il lotto edificabile per ricavarne un pò di soldi; il caso dell’impresa edile che ha opzionato i terreni agricoli offrendosi come soggetto capace di “fare in modo che” questi divengano edificabili. Bene, facciamo due conti nei diversi casi.
Il piccolo proprietario che vuole farsi casa parte con 1000 mq di proprietà. A questo il Comune chiede, per poter edificare, circa 188 € a mq in più, oltre agli oneri, che si vanno a sommare al costo di costruzione. Per un indice 0,14 mq/mq parliamo di quasi 40.000 €. Non si tratta di un minore guadagno per il proprietario del terreno perchè questi, in realtà, non intende vendere il bene. Per cui questa diviene una sorta di “tassa” che grava pesantemente su un costo di costruzione già alto, per cui una casa di 150 mq che sarebbe costata 260.000 euro ne verrà a costare almeno 300.000, rendendo forse vani i sogni di chi non ha accumulato ricchezze e deve rivolgersi alle banche per avere un mutuo in tempo di crisi.
Il piccolo proprietario che vuole vendere si troverà a dover scegliere se tenere il prezzo di mercato delle aree edificabili – col rischio che le imprese, a conti fatti e data la difficile contingenza, lo valutino eccessivo – o ridurlo di quei 188 € a mq. – col rischio di vedere le imprese vendere comunque a prezzi superiori recuperando così a suo danno lo sconto imposto dalla perequazione. Alla fine probabilmente il piccolo proprietario valuterà di non vendere.
L’impresa che ha opzionato i terreni agricoli prima che il bando fosse pubblicato avrà potuto fissare un buon prezzo per una terra agricola a patto che l’area diventi edificabile entro un determinato periodo di tempo. Un buon prezzo potrebbe essere anche il doppio o il triplo del valore di marcato di un’area agricola: ad es. 8 € a mq. per cui 1000 mq costano 8000 €
Ma quando l’area sarà edificabile a 0,14 mq/mq il valore di quel mq di terra salirà almeno a 30-40 € a mq. per cui quei 1000 mq varranno almeno 30-40000 €. Il guadagno dell’impresa sarà comunque elevato, mettiamo di 30.000 € a mq di terreno, rispetto al quale  il Comune, con la perequazione a 188 € a mq, esige circa 26.000 €, lasciando nelle mani dell’impresa comunque un piccolo margine dia plusvalenza che si aggiunge all’utile di impresa.
In altri termini, l’impresa pur mantenendo i prezzi di mercato nella vendita degli appartamenti ne ricaverà un profitto che, rispetto alle normali condizioni di mercato, equivale al pagare la terra edificabile  quattro o cinque volte meno grazie all’opzione fatta prima dell’avvio del bando comunale.

Non deve meravigliare il fatto che, gira e rigira, il bando abbia “eletto” come edificabili quei terreni di cui si da anni si parla della sussistenza di opzioni da parte di imprese locali e di progetti e di sondaggi geognostici fatti prima che l’amministrazione lanciasse il bando stesso.
Se siano solo “voci” o ci sia dell’altro non è dato saperlo né, in fondo, interessa conoscere se questa amministrazione sia o meno coinvolta in speculazioni edilizie. Resta il fatto che l’impostazione dell’urbanistica “perequativa” pone l’Amministrazione ad essere pericolosamente vicina agli interessi privati immobiliari e va quindi tenuto ben presente il noto detto popolare: la tentazione fa l’uomo ladro.
Così inoltre continueranno ad essere le imprese, opzionando i terreni agricoli in assenza di un Piano o di un qualsiasi disegno da parte dell'ente pubblico, a “guidare” le varianti urbanistiche e i processi di consumo di suolo, inquinando la politica e la vita civile della città.

Case per i ricchi.  In sostanza il bando di Falconara disattenderà le motivazioni politiche utilizzate come giustificazione per la sua emanazione. I   “falconaresi che vogliono costruirsi la casa”, a meno che non siano ricchi sfondati, dovranno continuare a guardare altrove. A Falconara Alta i prezzi rimarranno proibitivi e anche le “fasce grigie” – quelle veramente ai margini della soglia di disagio -  dovranno girare al largo dai villini esclusivi della crème di Falconara.
La gente normale, quella che fatica ad arrivare alla fine del mese, i giovani precari che vogliono mettere su casa con l’aiuto dei genitori ma non riescono a racimolare più di 150.000 euro, sono tagliati fuori e il loro problema casa, non è evidentemente visto come tale da questa Amministrazione.

L’interpretazione strumentale della Legge anzichè il rispetto delle sue vere finalità. La brutta abitudine dei professionisti della giurisprudenza di farsi garanti di chi li paga più che della Giustizia, ha determinato l’affermazione del sofismo nelle questioni legali, per cui la Verità è assolutamente relativa e sta all’abilità del tecnico legale piegare l’interpretazione della Legge a favore degli interessi del suo cliente.
Da quando la disciplina dell’urbanistica - nata come relazione tra aspetti di diritto, economia e architettura urbana – si è liberata dei contenuti dell’architettura divenendo sempre più disciplina del diritto economico applicato al valore immobiliare dei suoli e degli immobili, essa ha assunto anche i vizi propri della prassi giuridica.
Se un tempo gli urbanisti – che erano anche in primis Architetti – si ponevano di fronte alla Legge come chi, volendone applicare i principi, si interroga sui motivi di quella Legge, sui suoi obiettivi e sui modi per affermarne il senso senza commettere errori, oggi gli urbanisti, al servizio di Amministrazioni comunali e/o di gruppi di interesse, studiano il modo per disinnescare quegli aspetti della legge che possono limitare o contrastare con gli interessi dei propri clienti. Nel far questo sanno benissimo di attuare un “tradimento” nei confronti della Legge e delle ragioni dell’Architettura che in questa sono riposte.
Nel caso del bando di Falconara Alta è accaduto ad esempio che nel novembre del 2011 sia entrata in vigore la Legge regionale 22 sulla riqualificazione urbana. La Legge nasce dichiaratamente dalla volontà di limitare l’occupazione di suolo in attesa della nuova Legge Urbanistica regionale, bloccando le varianti urbanistiche che mirano ad occupare nuovo territorio.
In questa prospettiva l’idea della espansione urbana prevista al bando di Falconara sarebbe improponibile in quanto in evidente contrasto con la Legge, se si fa eccezione a qualche piccolo completamento marginale al tessuto edilizio esistente.
Ma gli urbanisti si mettono a studiare il testo della legge per trovare il cavillo legale su cui costruire la scappatoia. Come solerti avvocati scoprono che la Legge dice testualmente che non si possono adottare varianti in area agricola. Quindi, alla lettera, se un’area anzichè agricola è destinata a verde privato o attrezzature di servizio pur essendo fisicamente in aperta campagna, lì la Legge non vieta di costruire. Ed avendo il PRG di Falconara individuato vaste aree periurbane  a verde privato con la finalità di aumentare le dotazioni di verde della città, va da se che in quelle aree posso adottare varianti finalizzate all’edificazione!
Inutile far notare ai solerti urbanisti che i redattori del PRG, ponendo in quelle aree una destinazione a verde, volevano proprio aumentarne la salvaguardia rispetto agli appetiti immobiliari. Inutile far notare che, seguendo lo stesso ragionamento, potremmo andare a costruire anche nei parchi fluviali e nelle oasi ambientali in quanto aree ormai non agricole. Inutile spiegare che con tutta evidenza la Legge intendeva dire “aree extraurbane” anzichè aree agricole. La Legge è Legge e ciò che è scritto è scritto, tanto da far venire il sospetto che quella del Legislatore non sia stata proprio una svista.
Quei solerti urbanisti sicuramente riceveranno il plauso dei loro clienti, pubblici o privati che siano, e forse anche uno zuccherino, ma non possono pensare di venire poi a parlare di Architettura della città e di bene pubblico senza essere biasimati da chi all’Architettura, alla Città e al Bene pubblico attribuisce ancora un significato vero.

Per tutti questi motivi, ed altri ancora, ho deciso di non partecipare a questo modo di condurre l’urbanistica.  Destinerò il tempo che avrei dedicato a quei progetti per definire un percorso possibile verso un nuovo modo di intendere la pianificazione, che la riporti verso il bene comune, il paesaggio, l’architettura delle città, liberandola dagli artigli della speculazione immobilare.
Ma perchè il modo di intendere la pianificazione che illustrerò si affermi davvero occorre che si affermi prima un rinnovamento profondo della politica e che questa affermazione cancelli, come uno tsunami, un intero sistema sociale imbevuto di corruzione e di concussione, culturale ed etica prima ancora che pecuniaria.