X FALCONARA

spazio libero di chi vuole un futuro migliore per la nostra città

domenica 25 settembre 2011

A frà, che te serve?

Nella mia esperienza di vita sono rimaste alcune immagini particolarmente vivide che mi rimandano all’idea del degrado della vita civile, dove il popolo è ridotto a mandria e i furbi e i potenti sentono di pover essere i loro mandriani.
La prima è Longarini al Viale dellaVittoria, nella festa che seguì alla promozione in A della squadra di calcio. Lui seduto su un alto tavolo e intorno la folla che si avventava sulle vivande offerte gratis, volutamente disposte in modo da scatenare l’ammucchuiata, come fanno i maiali davanti al trocco.
Una scena di estrema volgarità e di vero abbrutimento del genere homo sapiens.
La seconda immagine è quella dell’ayatollah Khomeini, vista alla TV, mentre passa, in piedi su un’auto decapottata, radente ad una folla oceanica sfiorando con la punta delle dita le mani protese della gente in delirio, con l’espressione del viso un pò schifita da quel contatto.
La terza, e forse la più forte, è quella vissuta durante una riunione organizzata da promoter turistici allo Sporting di Torrette. Ci era arrivata per posta una lettera che informava della vincita di una vacanza. Solitamente io e mia moglie siamo molto scettici di fronte a queste offerte, ma quella volta, chissà perché, la curiosità ebbe il sopravvento e decidemmo di andare. Ci ritrovammo tra tanti altri illusi “vincitori” in una sala piena di tavolini dove sedevano cordiali altrettanti venditori in giacca e cravatta. Ci chiamarono a sederci ciascuno in un tavolo e lì in mezzo alla confusione del vociare, al caldo e al naturale smarrimento venivamo mitragliati dalla voce del venditore che ripetava a memoria il copione per indurci a dire si, sempre di si, fino a cadere nella rete…Per fortuna noi ci alzammo quasi subito e lasciammo sul posto l’esterefatto agente di marketing. Altri caddero nella rete e furono spennati.
Ci rendemmo conto, io e mia moglie, che quella era una ben orchestrata tecnica di persuasione che, impedendo il dialogo tra persone ed anzi isolandole in un rapporto interpersonale con un abile piazzista, mirava a scardinare il naturale buon senso e la capacità critica individuale.

Sabato mattina passavo a Castelferretti e ho deciso di fermarmi a prendere delle tagliatelle al negozio di Reka. Uscendo vedo in piazza dei gazebo gialli e un po’ di gente, non tantissima, che stazionava intorno come ad aspettare il loro turno. Sotto ogni gazebo c’era un tavolo e in ogni tavolo un membro della giunta di Falconara: Il sindaco in uno, Baldassarri in un altro, Marcatili in un altro ancora… Parlavano ognuno con una persona.
 “Cristo! La stessa organizzazione dei piazzisti dello sporting!” ho subito pensato, e mi sono affrettato ad  allontanarmi più rapidamente possibile.
Non ho sentito che cosa si dicevano, ma immagino che, al di là delle solite giustificazioni ed autocommiserazioni dell’Amministrazione per il buco di bilancio, il senso di quegli incontri girava intorno alla domanda non pronunciata con cui gli amministratori accoglievano i singoli cittadini: “ a frà, che te serve?
Strani spacciatori di risposte ai singoli cittadini pronti a chiedere un piccolo grande favore personale per risolvere le i piccoli grandi problemi quotidiani: la buca davanti a casa, il lampione rotto, i rumori, i negri!

Questa è la politica di Brandoni.
Questo è esattamente l’opposto di ciò che io intendo per Politica.

martedì 13 settembre 2011

i fichi di San Silvestro


Nel paese di San Silvestro c'era un contadino di nome Marcello che aveva una bella pianta di fichi. La gente del posto la conosceva come "la taja de Marcello". Lui l'aveva messa  a dimora che era ancora un bambino. Aveva preso il getto, l'aveva interrato e innaffiato e l'aveva visto crescere, anno dopo anno, fino a che, diventato albero, aveva cominciato a fare i frutti. Ogni anno gli dava il concime, la curava dai parassiti, la potava e tutte quelle sapienti cure avevano fatto si che i fichi prodotti da quella pianta fossero davvero squisiti.
I figli del fattore, che mai si sarebbero sognati di dedicare tutto quel tempo e quel lavoro a curare una pianta, deridevano il contadino che invece di pensare, come loro facevano, a divertirsi e far soldi facili in città, passava il tempo a curare il proprio lavoro. In città, i giovani rampolli del fattore dicevano a tutti che loro erano veri agricoltori e che avendo una grande fattoria, più proprietà, più amici e più denari erano senz'altro di un più alto livello rispetto a quell'umile contadino solitario. In verità i loro prodotti, specialmente i fichi, erano davvero insipidi, ammaccati e brutti a vedersi, ma in città se si pensava alla figura dell'agricoltore si faceva riferimento a loro.

Accadde che un bel giorno di settembre, che i fichi della taja de Marcello erano già belli maturi, il contadino vide i figli del fattore allontanarsi furtivi dalla pianta. Li chiamò, ma questi, senza neanche voltarsi, accelerarono il passo e scapparono via.
Marcello li seguì senza farsi notare fino a che li vide arrivare nella piazza del paese, dove si teneva il mercato settimanale. Posato un fagotto su una bancarella, tirarono fuori una trentina di bellissimi fichi maturi e li disposero in bella vista per la vendita. Il povero contadino realizzò subito che si trattava dei fichi della sua pianta che i figli del fattore avevano preso di nascosto. Ma i giovani urlavano alla gente: "Venite" guardate che bei fichi abbiamo portato per voi al mercato! I nostri sono davvero i migliori fichi della regione!"
La gente gradiva e comprava. Il contadino, deluso, vide una guardia e avvicinatosi gli spiegò che quei fichi erano i suoi e che gli erano stati rubati dai figli del fattore. "possibile?" rispose indignata la guardia. "I figli del fattore, conosciuti e stimati da tutto il paese? L'accusa che fate è davvero grave". Interrogati i giovani dalla guardia questi non solo negarono affermando che i fichi erano prodotti dalla loro pianta, ma iniziarono a deridere e schernire il contadino, tanto che la guardia gli intimò di chiedere scusa altrimenti sarebbe finito in galera per ingiurie!
Sconsolato,  il contadino andò allora dal fattore e, spiegata la situazione disse: "fattore, vede, non è che io reclamo i denari per i miei fichi, perchè se me li avessero chiesti sarei stato ben felice di offrirli io stesso ai suoi figli. Ma a questo modo, mi sembra che loro abbiano offeso non solo me, che sono poca cosa, ma il mio onesto lavoro, la mia passione, la virtù della pianta e in fondo quella stessa Verità su cui poggia tutto il creato"
Il fattore si mostrò comprensivo e disse che avrebbe provveduto, ma passarono i giorni e non successe nulla.
Il contadino allora prese un'accetta, tagliò la pianta e legatala con una robusta corda la trascinò a forza su fino alla piazza del paese ancora carica di tanti bei fichi. Sfinito, si sedette vicino alla fonte. A chi gli chiedeva spegazioni rispondeva: "Prendete! Prendete i fichi senza pagare nulla! Sentirete che sono proprio buoni come quelli che l'altro giorno vendevano i figli del fattore. Questi sono quelli della mia pianta e dopo quest'anno non ce ne saranno più. Chiedeteli il prossimo anno ai figli del fattore..."
E fu così che a San Silvestro ancora si ricordano dei fichi di Marcello. Quelli si che erano fichi. Da allora non se ne trovano più di così buoni. Sono sempre più piccoli, insipidi e brutti a vedersi.

morale:
se i furbi sono fatti valere sugli onesti, se gli incapaci hanno la meglio sui capaci, allora finisce che gli onesti e i capaci prima o poi si stancano e smettono di lavorare o se ne vanno. E il paese regredisce sempre più nella decadenza e nell'incuria. Quel paese si chiama Italia.

dedicato a quei tecnici dipendenti pubblici che, all'ombra del potere politico, non esitano un solo istante ad appropiarsi del lavoro altrui interessati soltanto ai denari del premio di produzione. Veri sciacalli di razza.


sabato 10 settembre 2011

tecniche di cattura

Il popolo era da tempo ridotto alla disperazione. Non una certezza sul futuro, una luce, che potesse far intravedere una via di uscita dal buio di quella crisi.
Lo spetto della fame si aggirava ormai in molte case, per le strade e nel porto di Ancona, dopo i lunghi assedi militari, all'inizio del XVI secolo.
Il sogno dell'indipendenza della Repubblica marinara si stava spegnendo, vinto dalla miseria e dall'isolamento in cui la città era stata ridotta.
Eppure Ancona aveva resistito ai tentativi di conquista con tutte le sue forze; ma ora era giunta davvero allo stremo.
La notizia si diffuse rapida come la tempesta: Il Pontefice di Roma giungerà in città e parlerà agli anconetani!
Un affronto, un insulto pensarono i più. Una salvezza pensarono altri.
La voce dominante era però quella dello stupore e dell'indignazione. Il Pontefice di Roma, con la sua opulenza, il suo sfarzo, vuole forse irridere la nostra condizione di sofferenza? Vuole forse venirci a dire che questa condizione è la conseguenza del nostro desiderio di libertà?
I preti, gli uomini di chiesa, calmavano gli animi e ammansivano i più accalorati dicendo: "No, vedrete che sarà tutt'altro! il Papa viene a condividere le nostre sofferenze e a portarci la sua solidarietà e il suo sostegno, perchè il Papa ci ama!"
Se così fosse, ribatteva però qualcuno, come mai il governatore dell'imperatore - che da anni tenta di occupare Ancona - non vede in questa visita una minaccia ma anzi plaude alla presenza del Pontefice? Non teme forse che se la Chiesa solidarizza con i diseredati questo possa andare contro il suo potere?
La discussione era accesa e davvero molti pensavano che ci sarebbero stati violenti tumulti all'arrivo in città del Santo Padre.
Ma accadde che due giorni prima dell'arrivo del Papa giunsero in Ancona tre carri carichi di pane per sfamare la gente e con loro anche la notizia che ci sarebbe stato lavoro e salario per tutte le famiglie di Ancona.
Il Papa fu accolto, al suo arrivo, da un tripudio generale e nel banchetto allestito in piazza gli anconetani in processione portarono fiori e devozione al Pontefice seduto nel suo trono.
Fu così che, con tre carri di pagnotte e la promessa di un salario, finì la repubblica marinara di Ancona e il suo sogno di libertà.
Il papa ritornò a Roma, ma in Ancona rimase un solido presidio dello Stato della Chiesa che, con il benestare dell'imperatore, dominò la città fino al risorgimento italiano.

Storie che sono davvero accadute o che stanno accadendo ora, comunque tipiche di ogni medioevo, passato o presente che sia.
Storie di oppressione, di dominio e di servitù. 
Tecniche di cattura sempre efficaci.
W il Papa !     W il Papa !

venerdì 2 settembre 2011

ragione e dottrina


Tutti noi siamo soliti prendercela con i potenti quando le cose vanno male. Ci fa piacere pensare che sia tutta colpa loro in quanto incapaci di governare gli eventi, o troppo corrotti, in ogni caso inadeguati. E diciamo: "se ci fosse qualcuno bravo le cose cambierebbero".
E invece sono sempre più dell'idea che anche cambiando i potenti le cose non cambierebbero affatto.
Se soltanto fossimo più onesti con noi stessi, saremmo abituati a giudicare la nostra attitudine prima di quella degli altri. A tentare di capire se, in altri termini, c'è anche in noi qualcosa di sbagliato.
Se guardassimo con attenzione, ci accorgeremmo che i potenti non sono altro che il risultato del nostro stesso essere, del modo con cui poniamo noi stessi di fronte al mondo.
Noi siamo esseri umani. Animali dotati di ragione. Una facoltà preziosa ma che implica un esercizio molto faticoso, quella del ragionare, del discernere. Ciò implica, di volta in volta, una totale messa in discussione delle nostre idee e dei nostri giudizi.
Molto più facile invece è "darsi delle leggi comportamnetali" a cui rimettere le proprie azioni. Dei pre-giudizi, riducendo la nostra azione ad una esecuzione anzichè una ricerca di verità.
L'idea che il giudizio valido in una occasione sia valido anche in un'altra deriva dalla convinzione che un evento, od un istante della nostra vita, sia riproducibile, identificabile, nominabile.  Se così non fosse non potrei creare alcuna "dottrina" o verità rivelata. Non esisterebbero, ad esempio, i dieci comandamenti.
Si dice "non uccidere", e l'applicazione di questa norma, come la sua "verità" implica che ogni atto di uccidere sia uguale all'altro.
Nella realtà tuttavia non è così. Esiste la legittima difesa, l'eutanasia, l'uccisione di altri esseri viventi in funzione della nostra sopravvivenza, o addirittura involontaria (la classica formica calpestata). 
Ecco che la legge, di fronte alla realtà in cui ogni istante è unico, irripetibile e quindi "infinito", appare in tutta la sua meschinità come l'ipocrita tentativo di by-passare la ragione, per pigrizia, per convenienza,...
Da architetto mi trovo in questi giorni a scontrarmi contro una delle più recenti manifestazioni del "pregiudizio": il consumo di suolo zero.
E' il motto ormai di un certo ambientalismo di sinistra (ma anche di destra) che di fronte all'esubero di alloggi rispetto al numero della popolazione residente e per il fatto che negli ultimi decenni  attraverso le nuove costruzioni si è distrutto gran parte del paesaggio urbano ed extraurbano, lancia l'anatema: fermiamo la cementificazione!
Si chiudono le stalle quando i buoi sono scappati col doppio risultato di non risolvere il fatto che non ci sono più buoi nella stalla e di impedire che possano rientrare, caso mai lo volessero fare!
Se è vero che si è troppo costruito e male negli anni passati, l'esercizio della ragione, anzichè il pre-gidizio, ci farebbe accorgere del fatto che le nostre città sono brutte, confuse e dense; che probabilmente è auspicabile un diradamento delle città anzichè ulteriori addensamenti; che il suolo non è necessariamente in antitesi con la nostra esigenza di abitare, che preservare una moderna periferia non è qualcosa di cui andare fieri!
Ma i molti preferiscono la dottrina e l'applicazione irremovibile dello slogan anzichè l'esercizio della ragione.
Non pianifichiamo più nulla, nei piccoli paesini di montagna - dove il non costruire ha forse un senso - come nelle città degradate, dove la scelta di densificare il centro urbano porterà a un maggiore stress ambientale per i residenti e ad un incremento ulteriore dei prezzi delle abitazioni...laddove una città più estesa porterebbe invece a recuperare spazi verdi e servizi nell'intorno dei centri storici, soffocati dal traffico.

E allora non sono i Pontefici, i Lenin e i Marchionne a imporre le proprie leggi al popolo. E' il popolo bue a mettersi da solo una catena al collo ed a inginocchiarsi di fronte a loro. E' il popolo bue che li vuole.
Perchè ogni volta che il popolo griderà in coro uno slogan ci sarà sempre qualcuno che detterà il tempo.