X FALCONARA

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martedì 30 ottobre 2012

Fuori dal ghetto




Tra i numerosi problemi che assillano la città di Falconara quello della sicurezza è senza dubbio tra i più sentiti dalla popolazione.
Assai diversa è tuttavia la percezione del problema nei diversi ambienti sociali, in funzione di una diversa esposizione a quella che viene vista come l’origine, se non proprio la causa, del fenomeno: l’immigrazione.
Sulla figura degli immigrati, in carenza di uno sfondo culturale che delinei la scala planetaria del recente fenomeno migratorio, si coagulano pregiudizi di opposta natura:
-         l’immigrato è un intruso pericoloso da controllare e possibilmente da espellere
-         l’immigrato è la vittima dell’ingiustizia propria dell’occidente ed è quindi nostro dovere sdebitarci attraverso azioni di filantropia

Ritengo che entrambe le posizioni, in quanto pre-giudiziali, siano fuorvianti perchè esulano da una seria analisi della situazione.
Il disagio civile associato alla presenza degli immigrati nel tessuto sociale viene dagli uni ingigantito e dagli altri minimizzato.
Se è vero che, guardando alle statistiche, la percentuale degli immigrati presenti a Falconara è inferiore rispetto a molte altre città marchigiane, la loro presenza è però fortemente concentrata nella zona nord e nei dintorni della stazione, a piazza Mazzini, in quello che consideriamo ancora il “centro” di Falconara.
Questa presenza massiccia nel centro, dovuta al degrado urbano che abbatte i costi di locazione delle abitazioni ed alla natura di nodo viario della città, incute nei vecchi residenti la sensazione che la città sia stata “invasa” da sconosciuti.
Difatti, al di là della forte presenza di negozi gestiti da immigrati che contribuiscono a vitalizzare una città da tempo ridottasi a “dormitorio”, gli immigrati e i vecchi falconaresi vivono vite parallele.
E’ assai raro vedere “italiani” entrare nei negozi gestiti dagli immigrati. Raro vedere gruppi “misti” di persone che discutono per strada. In pochissimi casi, al di là delle azioni di volontariato sociale, si assiste ad una vera normale convivenza. Si tratta essenzialmente dei luoghi di frequentazione dei bambini, come le scuole o i luoghi di pratica sportiva.
Si assiste, a Falconara come altrove, alla formazione di nuove forme di “ghetto” urbano. Un ghetto senza recinti ma altrettanto tangibile, identificabile, intollerabile.
Certo le nuove generazioni, quelle che oggi sono in età scolare, riusciranno comunque ad integrarsi, ma nel frattempo il rischio di fenomeni di degenerazione dovuti all’isolamento e al rifiuto del riconoscimento di cittadinanza per i nuovi residenti appare elevato.

Il disinnesco della dimensione del “ghetto” è legato ad un complesso integrato di politiche:
-         una politica della casa che dia risposte dignitose a chi ha necessità di alloggi a basso costo e/o di alloggi temporanei
-         una politica del lavoro che garantisca a tutti almeno la possibilità di sussistenza
-         una politica sociale che garantisca la gratuità del minimo vitale (acqua, ricovero, pasto)
-         una politica dell’accoglienza che permetta ai nuovi arrivati di conoscere e condividere le regole e le tradizioni locali continuando ad esprimere, al contempo, le proprie tradizioni di origine

Se tutti i soggetti presenti a Falconara fossero davvero oggetto di queste politiche, avremmo persone comunque impegnate in attività lavorative e/o scolastiche, avremmo persone riconosciute, identificate,  non costrette a “sopravvivere”, non indotti all’illegalità.
Se a questo associassimo anche un’azione volta a riportare i “vecchi cittadini” a frequentare la piazza, ad uscire la sera perchè i locali di ritrovo restano aperti e promuovono iniziative sociali, la riappropriazione degli spazi della città porterebbe ad una netta diminuzione della sensazione di insicurezza, alla scoperta che l’immigrato altri non è che un concittadino da conoscere.

Ma da dove possiamo cominciare? Come possiamo affrontare questo complesso di cose?
Esporrò qui alcune soluzioni possibili. Ma occorrerà poi lavorare per fare in modo che queste soluzioni si integrino tra loro, creando sinergie che permettano di risparmiare le energie necessarie.

Prima però è bene fare un’ultima considerazione: la attuale crisi economica, che è una crisi strutturale non transitoria, sta ponendo un nuovo elemento nella relazione problematica sicurezza – immigrazione: la nuova povertà legata alla mancanza di lavoro che sta colpendo pesantemente anche i “vecchi cittadini”, gli “italiani”, estendendo ad un crescente numero di persone e nuclei familiari gli stessi disagi e le stesse esigenze fino a ieri confinate nell’ambito degli immigrati.
Una risposta parziale, una risposta insufficiente al fenomeno che abbiamo di fronte espone al rischio concreto che si inneschi ancora la “guerra tra poveri” che vede gli italiani rivendicare il diritto di prima scelta sull’immigrato, fomentando, nelle categorie sociali più esposte e non tutelate (lavoratori autonomi, artigiani, commercianti), derive razziste altrimenti assenti dal sentire della gente.
Ciò fa sì che sia limitativo oggi pensare solo ad una politica dell’accoglienza,  dovendoci ormai porre di fronte all’urgenza di una politica dell’esistenza, una politica che garantisca a tutti una vita dignitosa. Il problema della sicurezza e il problema degli immigrati si risolvono quindi solo all’interno di un nuovo progetto sociale.

Case a basso costo, case temporanee

La presenza degli immigrati, la diffusione delle nuove povertà, stanno ponendo alle nostre città richieste alla quali esse non sanno rispondere. Il mercato delle abitazioni, lievitato in modo mostruoso nei decenni passati, non sa offrire residenze a basso costo se non in situazioni di degrado urbano e di abbandono.
Se l’imponente fenomeno migratorio degli anni 50 e 60 ha visto sviluppare in Italia i quartieri di edilizia popolare, i PEEP, l’edilizia convenzionata riuscendo, seppur con più ombre che luci, a rispondere ad una esigenza sociale, la nuova ondata migratoria composta in prevalenza da stranieri non è stata accompagnata da politiche adeguate. Non è stata gestita dal Paese.
Nelle università di architettura europee si elaborano da anni possibili soluzioni per favorire una esistenza dignitosa ai nuovi arrivati, favorendo la socializzazione e l’integrazione. Soluzioni che rispondano all’esigenza di un ricovero essenziale, di alloggi temporanei.
Le università italiane non sembrano essere partecipi di questa ricerca. Neanche lo sono le amministrazioni pubbliche.
Esistono esperienze, anche molto interessanti, ma sono lasciate, come accade in ogni campo di attività in Italia, all’iniziativa sporadica di singoli valenti “visionari”.
In Calabria, a Cassano all’Ionio, è nata una casa per immigrati, su iniziativa della Coldiretti e di una ONLUS locale, destinata ai braccianti impiegati in agricoltura (si chiama “casalarocca”).    
A Calenzano, vicino a Firenze, il Comune ha realizzato una “Residenza di Primo Inserimento” che associa alloggi per famiglie con quote di abitazioni temporanee.
A Manfredonia la Regione Puglia ha programmato la realizzazione di “case fai da te” per migranti.
Altre amministrazioni comunali, come quella di Ravenna e di Cesena, portano avanti progetti per quartieri da realizzare in autocostruzione per rispondere insieme alle esigenze degli immigrati e dei nuovi poveri.
Come potremmo applicare queste esperienze a Falconara?
Esistono a mio avviso diversi livelli di intervento: mirare alla riduzione del costo delle abitazioni, favorire il recupero dell’esistente con modalità di autocostruzione, creare un centro integrato di alloggi temporanei e case-famiglia.
Se i primi due livelli attengono espressamente alla politica della casa  (affronteremo il tema in un’altra occasione), il terzo è qualcosa di nuovo. Qualcosa che non può riferirsi agli spazi della città esistente ma richiede l’ideazione di un luogo che non c’è.
Eppure è proprio questo livello che più di altri investe il problema dell’immigrazione e della sicurezza così come si manifesta in modo specifico a Falconara, città di passaggio, città temporanea per sua natura.

Pensare un centro integrato di abitazione temporanea e di accoglienza significa presupporre un nuovo insediamento perchè la costruzione di una parte di città con caratteristiche relazionali complesse e specifiche richiede una “forma” appropriata, a meno che non si disponga già di uno spazio adeguato.
Se pensiamo ad un luogo di abitazione collettiva di persone che non si conoscono e che devono pertanto imparare a vivere assieme, possiamo attingere da un repertorio storico di modelli: il convento, il campus, il falansterio, la caserma...
La caserma è di fatto la riproduzione semplificata di una città, dotata di servizi, flessibile, adatta a funzionare nel ricambio continuo delle persone che la abitano.
Se analizziamo i campi profughi diffusi nel mondo, che i migranti si costruiscono da soli ai margini delle città, o se ci riferiamo ai borghi medievali sorti fuori dalle mura, notiamo evidenti affinità con la logica distributiva degli spazi e delle funzioni propria delle caserme.
A Falconara abbiamo una caserma dismessa; la ex Caserma Saracini. Uno spazio grande, integrato alla città ma anche sufficientemente defilato.
Immaginiamo di togliere il muro di cinta, di ristrutturare le camerate per ricavarne stanze d’abitazione dotate di bagno e cucina essenziali, alloggi per famiglie, spazi di relazione, ma anche piccoli negozi, botteghe artigiane accessibili a tutta la città. Immaginiamo di riattivare la mensa, il cinema, gli impianti sportivi. Immaginiamo di realizzare giardini e spazi gioco per i bambini.
Togliendo le persone dalla ex montedison o da altre situazioni di clandestinità, dalle case da 60mq lungo la via Flaminia affittate a oltre dieci persone, potremmo anche favorire l’identificazione delle persone che vivono nella nostra città, coinvolgerle in percorsi di integrazione, rendere più “sicura” Falconara.



Ma la caserma e’ nella disponibilità del Comune? E dove troveremo i soldi per una ristrutturazione? Come potremo gestire quello spazio?
La risposta non è certo facile, ma è semplice, perchè si può ridurre in due parole: progetto e impegno.
Occorre elaborare un progetto, credere in un progetto, e sottoporlo con forza alla Regione ed al Governo. Occorre dimostrare che i costi di investimento sarebbero comunque assai inferiori ai costi dell’inerzia, all’esplosione futura del problema. Un investimento virtuoso, in cui coinvolgere anche le forze sociali, economiche e finanziarie, le organizzazioni del volontariato.
Occorre lavorare duro per costruire insieme l’iniziativa. La possibilità, la concretezza, dipende dalla nostra volontà e dalla nostra determinazione.


Un lavoro per tutti: il lavoro sociale

Il progetto pilota del centro integrato di abitazione temporanea e di accoglienza alla caserma Saracini è già stato avanzato tempo fa da Don Giovanni Varagona, parroco della chiesa della Madonna del Rosario.
Non so se quella proposta si riferiva ad uno spazio di assistenza o ad un vero e proprio spazio urbano, una parte di città, così come la immagino. Uno spazio che si gestisce da se attraverso risorse non derivanti dal bilancio dello stato per l’assistenza sociale ma create dagli stessi fruitori attraverso il loro lavoro.
Il lavoro è alla base della nostra costituzione, è l’oggetto su cui si stipula il patto sociale tra gli individui e lo Stato, attraverso il quale gli individui divengono cittadini. Il lavoro è un valore ed un diritto dei cittadini.
Una società civile è una società che garantisce a tutti il lavoro e che , attraverso il lavoro, garantisce una vita dignitosa a tutti.
Chi paga l’alloggio degli immigrati, dei poveri, dei nullatenenti? Lo dovremmo pagare noi? No, devono essere loro, i fruitori, a pagarsi l’alloggio attraverso il lavoro. Soltanto così offriremo loro la dignità e la vera cittadinanza.
La soluzione è nel lavoro sociale. Un’attività di alcune ore al giorno a servizio della comunità in cambio della garanzia di un ricovero, del pasto, dell’acqua, dell’igiene e dell’assistenza sanitaria.
I lavori sociali servono perchè nessuno oggi li fa: la pulizia dei fossi, delle pertinenze delle strade, dei marciapiedi, sia per conto del pubblico che del privato.
Il lavoro sociale va “alimentato” con nuove assunzioni di responsabilità dei cittadini nella manutenzione ordinaria degli spazi comuni prossimi a quelli privati, scaricando così il Comune da parte delle spese. Sistemarsi il marciapiede davanti casa, la buca in strada dove parcheggiamo l’auto, dovrebbe essere una prassi di civiltà e un’occasione di lavoro sociale per le persone disoccupate e in cerca di un impiego.
Il lavoro sociale va anche favorito – e il centro integrato di abitazione temporanea e di accoglienza è il luogo ideale per farlo – attraverso la formazione professionale e le politiche rivolte ai mestieri “minori”, per lungo tempo abbandonati ma oggi tornati di utilità, come il recupero dei materiali di scarto, la riparazione, l’artigianato di servizio, la produzione di materiali per la bioedilizia (mattoni e intonaci in argilla cruda, pannelli isolanti con materie vegetali, cannucciaie,...)

Il minimo vitale

Se la locazione dell’alloggio temporaneo può essere compensata con il lavoro sociale, come possiamo però garantire l’acqua e i pasti?  Non rappresenterebbero anche questi un costo insostenibile per le disastrate casse comunali?
Anche qui dobbiamo anteporre al problema operativo la convinzione sulla validità del principio.
E’ giusto dire che in una società civile tutti devono essere messi nelle condizioni di poter vivere? E per vivere non abbiamo forse esigenza di bere e di mangiare?
Se su questo siamo d’accordo, il come fare poi lo determiniamo. Ci vorrà fatica, lavoro, ma la soluzione la troviamo.
L’acqua gratuita fino alla quantità vitale, ad esempio 30 litri a testa, può essere garantita semplicemente ricaricando l’entrata mancante sui consumi superiori, incrementando il costo della bolletta. Alla fine, per una famiglia media, questo non dovrebbe modificare la spesa complessiva per l’erogazione del servizio, scaricando sulle grandi utenze il costo della gratuità della quantità minima vitale.  
Per l’erogazione di pasti gratuiti, occorrerebbe semplicemente coordinare una rete tra i supermercati e i negozi, per raccogliere i prodotti in scadenza, i laboratori artigiani per avere i surplus di produzione. Se raccogliessimo quotidianamente tutto il cibo che viene buttato potremmo sfamare un’altra Falconara.  Si tratta solo di volerlo e di organizzarsi, con l’aiuto dei volontari ma soprattutto con il coinvolgimento operativo degli stessi fruitori.

L’accoglienza

Il centro integrato di abitazione temporanea e di accoglienza alla Caserma Saracini, va visto come il cardine di un vero e proprio processo di rinnovamento sociale.
I gruppi del volontariato, che oggi sono chiamati a tappare le falle di una società civile incapace di gestire la situazione, devono riportare la loro esperienza e la loro attività all’interno di una programmazione propria dell’amministrazione comunale.
E’ la comunità civile, l’istituzione statale, che deve diventare artefice delle scuole di italiano, dell’assistenza familiare, della formazione ed educazione dei ragazzi, secondo principi di laicità e libertà culturale.
Il Comune, col contributo delle associazioni e dei gruppi di cittadini, deve teorizzare, programmare ed attuare presso gli immigrati la promozione della storia e delle tradizioni locali, ma anche assicurare la possibilità di esprimere le tradizioni e le culture di origine, favorendo l’incontro e la reciproca conoscenza all’interno della comunità civile.
Ciò va svolto attraverso le scuole e le politiche culturali, ma anche attraverso specifiche iniziative, come il sostegno e l’aiuto alla costruzione di spazi dedicati alle diverse pratiche religiose (moschea, chiesa ortodossa,...)in luoghi non marginali della città; luoghi di scambio culturale; gruppi per la pratica di sport o attività tradizionali (il cricket per indiani e bengalesi, la musica e la danza per le comunità rumene e balcaniche).
Dobbiamo ricordare, a tale proposito, che la musica e lo sport sono “linguaggi” primari per favorire la comunicazione e l’integrazione sociale.

Rivivere la città

L’incontrarsi di due soggetti implica che entrambi si muovano l’uno verso l’altro. Se da un lato occorre quindi favorire l’ingresso degli immigrati nella società civile, promuovendo la coscienza del rispetto delle regole e la conoscenza delle tradizioni locali, dall’altro lato sono anche i “vecchi falconaresi” che devono essere indotti ad uscire dalle case, dalla loro sfera privata, e ritornare a frequentare lo spazio pubblico. 
Questo processo può essere attivato attraverso sgravi fiscali ai negozi che aprono la sera e/o che fanno musica e spettacoli; attraverso la possibilità di realizzare gratuitamente i dehors; attraverso la creazione di consorzi per ogni via o parte di città in modo da qualificare l’immagine ed il servizio offerto, secondo il principio dei centri commerciali naturali.
I negozianti e i gestori devono assumere il ruolo di veri e propri operatori culturali. Le attività promosse devono far parte integrante del cartellone delle manifestazioni comunali.
Sarà questa nuova attività a portare loro interesse anche economico, attraendo gente dalle città vicine. Una città viva determina un mutuo interesse: pubblico e privato.

La riqualificazione delle aree in degrado

L’offerta di soluzioni alternative all’abitare temporaneo ed a basso costo può alleggerire la concentrazione di immigrati nelle zone degradate della città, evitando la degenerazione nel ghetto, ma non elimina le cause del degrado.
La riqualificazione delle aree del degrado è legata alla soluzione di altre problematiche che si approfondiranno: la raffineria e le industrie a rischio, la ferrovia litoranea, il traffico veicolare, il mercato immobiliare, il ruolo dei privati nei processi di trasformazione del territorio....
Deve però risultare chiaro come la soluzione dei problemi non possa essere affrontata con politiche settoriali ma deve derivare da un complesso sistemico di politiche integrate, da condurre assieme.
Solo affrontando l’insieme delle questioni si può sperare di risolvere la singola questione.
Questo impone la necessità di una capacità di visione e di una coralità l’azione ben diverse dal modo con cui le parti chiamate al governo della città hanno finora concepito l’attività politico-amministrativa.

sabato 27 ottobre 2012

discorsi sulla città

Il dibattito politico in vista delle prossime elezioni falconaresi appare fino ad oggi molto al di sotto delle diffuse aspettative di rinnovamento e soprattutto della necessità di definire azioni concretamente attuabili, non episodiche, frutto di una profonda e competente riflessione sulle questioni che si pongono con urgenza per evitare che il degrado della città diventi irreversibile.
Finora soltanto la nuova associazione "liberi di costruire i domani" ha proposto, con l'intervento del Prof. Sergi, una riflessione seria in tema di rapporto tra dimensione urbanistica e sicurezza civile. Probabilmente il prossimo 3 novembre sarà la volta di SEL per via della presenza del Prof.Paolo Berdini e di Giordano Mancini. 
E' importante però rilevare come siano ancora sostanzialmente i partiti, o i movimenti nati da esperienze di partito, a tenere alto il livello della discussione seguendo tuttavia il modo classico, quello della comunicazione dell'esperto e della gente che ascolta. Un modo peraltro utile ed importante, tuttavia non sufficiente a risvegliare una "cultura della città" che coinvolga l'intera comunità.
E' la diffusione tra la gente del dibattito sulla città a segnalare quel risveglio culturale di cui abbiamo bisogno.
Quando parliamo del Rinascimento come di un'età felice della cultura e della società civile in Italia siamo portati a legare quella stagione alla presenza di menti eccelse, di grandi artisti e mecenati, ma dimentichiamo ciò che scriveva il Vasari quando raccontava come il popolo, a Firenze, discutesse animatamente , venendo persino alle mani, attorno alla scelta del progetto del Brunelleschi o di quello del Ghiberti per la porta del Battistero di S.Maria del Fiore. Era la gente, la società civile a reclamare la bellezza della loro città, e i governanti davano loro ciò che desideravano.
Dobbiamo quindi chiederci se oggi la domanda popolare è rivolta verso la bellezza e la qualità della propria città o piuttosto verso la rassicurazione della propria sfera privata, della buca in strada da sistemare, del fastidio verso i nuovi arrivati in città, fino alla squallida richiesta del vantaggio personale, del favore clientelare.
Su questo aspetto occorre lavorare e concentrare l'azione Politica, e su questo aspetto i partiti appaiono deboli sebbene nulla impedisca loro di compiere uno sforzo per riallacciare un filo spezzato.
Su questo aspetto dovrebbero essere le civiche ad occupare lo spazio lasciato dai partiti, ma le civiche, almeno a Falconara, non sembrano essere orientate a farlo e paiono davvero rivolte ad occupare soltanto lo spazio perso dai partiti in termini elettorali.
Le presentazioni fatte dalle liste civiche alla città, almeno quelle sentite finora, sono piuttosto deludenti. A parte i proclami a parole, nulla di nuovo è apparso. La capacità di aggregazione non ha nulla a che fare con la capacità di coinvolgimento anzi, a ben vedere, l'aggregazione risulta tanto più facile quanto privo di spessore e profondità è il messaggio politico, tanto più è preconfezionato e modellato sul basso livello culturale affine alla dimensione popolare di oggi, mentre, al contrario, il coinvolgimento richiede fatica, passione, tempo e "apprendimento".
A Falconara le civiche oggi si preoccupano di aggregare, non di coinvolgere. 

Allora lo spazio della rifelssione competente sulla città, estesa alla comunità locale, rimane oggi terra di nessuno. In questa terra di nessuno mi trovo oggi perfettamente a mio agio, dopo essermi svincolato da impegni con gruppi di cui non condivido più il percorso.
In questa terra di nessuno sposto la mia "casa virtuale" - il blog x falconara - perchè diventi terra di tutti attraverso la discussione aperta sulla nostra città. Tutti, davvero tutti, sono invitati a partecipare. Non importa che siano di destra o sinistra, italiani o stranieri, a nome di un partito o a titolo personale. L'importante è che si parli di cose concrete ed utili per la nostra città offrendo idee e spunti a chi sarà chiamato al difficile governo di Falconara.

Affronteremo questioni, a partire dalla sicurezza, dal lavoro, dall'ambiente, dall'urbanistica, dal welfare per individuare quali azioni possibili stando con i piedi per terra, in una terra devastata da una crisi lacerante con le casse pubbliche prosciugate di ogni risorsa. Faremo proposte, anche provocatorie se necessario, perchè di tutto abbiamo bisogno oggi tranne che di rassicurazioni e di ipocrisia mascherata da buonismo. La situazione è drammatica e occorre mettersi a lavorare duro, tutti assieme, per trovare le soluzioni. I buoni propositi non servono.

venerdì 26 ottobre 2012

un nuovo giorno

 A volte capita di rimanere sconcertati, come quando ci si sveglia all'improvviso da un sogno. Ci alziamo in piedi e ci diciamo: è un nuovo giorno, andiamo avanti.
E il giorno, "quel giorno" è davvero nuovo, perchè le certezze ed i riferimenti di ieri non ci sono più. La vita si pone in prospettiva, il passato è messo via, in un cassetto o nel profondo del cuore.
Questo stato d'animo è "l'essere nuovi", ed è qualcosa di affascinante e lacerante al tempo stesso. Si rinasce, si torna a respirare, ma si è soli.  Soli con la propria ricerca della verità.
Il poeta persiano Rumi, santo per i dervisci rotanti,  scriveva ai tempi di S.Francesco: 

Io non sono…
Che cosa farò, musulmani?
Non mi riconosco più.....
Io non sono né cristiano né ebreo,
né magio né musulmano.
Io non sono dell'Est né dell'Ovest,
né della terra né del mare.(...)


Ma quando, da persone nuove, ci si rivolge a chi vive nell'appartenenza ad un gruppo, nel conforto delle regole, in una dimensione statica, si viene bollati come eretici, o pazzi. Poeti sognatori.
La persona nuova è scandalosa, oggetto di disprezzo ed insulti, e come tale viene esclusa, isolata.
E se parla con parole di verità, la verità viene negata. Se esprime cultura, la cultura viene derisa.
Perchè gli esseri umani preferiscono stare nel gregge. Là dove non sei costretto a fare i conti con te stesso e si può continuare a fingere di essere ciò che non si è.
E il gregge si muove di qua e di la, senza meta...  Scrive sempre Rumi: 

Hanno detto: "Da ogni parte c'è la luce di Dio".
Ma gridano gli uomini tutti :"Dov'è quella luce?"
L'ignaro guarda a ogni parte, a destra, a sinistra; ma dice una Voce:
Guarda soltanto, senza destra e sinistra!". 

 Il destino di Falconara, e probabilmente quello del mondo, è segnato non per volere divino, ma per volere della debolezza e dell'ipocrisia degli uomini.
Eppure dovevo aspettarmelo, ....ma mi è piaciuto sognare. 
Giacomo Leopardi, quesi due secoli fa, già aveva dedotto quale fosse l'animo della gente:
 
(...) all’opposto i buoni e i magnanimi, come diversi dalla generalità, sono tenuti dalla medesima quasi creature d’altra specie, e conseguentemente non solo non avuti per consorti né per compagni, ma stimati non partecipi dei diritti sociali, e, come sempre si vede, perseguitati tanto più o meno gravemente, quanto la bassezza d’animo e la malvagità del tempo e del popolo nei quali si abbattono a vivere, sono più o meno insigni; perché come nei corpi degli animali la natura tende sempre a purgarsi di quegli umori e di quei principii che non si confanno con quelli onde propriamente si compongono essi corpi, così nelle aggregazioni di molti uomini la stessa natura porta che chiunque differisce grandemente dall’universale di quelli, massime se tale differenza è anche contrarietà, con ogni sforzo sia cercato distruggere o discacciare. Anche sogliono essere odiatissimi i buoni e i generosi perché ordinariamente sono sinceri, e chiamano le cose coi loro nomi. Colpa non perdonata dal genere umano, il quale non odia mai tanto chi fa male, né il male stesso, quanto chi lo nomina. In modo che più volte, mentre chi fa male ottiene ricchezze, onori e potenza, chi lo nomina è strascinato in sui patiboli, essendo gli uomini prontissimi a sofferire o dagli altri o dal cielo qualunque cosa, purché in parole ne sieno salvi

Sognavo che la storia avesse cambiato gli uomini, ma così non è...
Ieri sera mi sono svegliato dal sogno. 
Oggi è un giorno nuovo. Guardo avanti