X FALCONARA

spazio libero di chi vuole un futuro migliore per la nostra città

mercoledì 27 giugno 2012

pietas

Nel 1934, la mattina di uno dei primi giorni di maggio, mia madre, figlia di un operaio, nasceva in una delle case della Montedison. Case semplici, costruite dalla ditta per ospitare i dipendenti secondo l'abitudine della classe imprenditoriale di allora che vedeva nel produrre anche una dimensione sociale.
Domani, guardando negli occhi mia madre, dovrò per la prima volta nascondergli la verità. Non gli dirò che la sua casa non c'è più.
Non posso farlo perchè so che gli darei un dolore profondo nel dirglielo.
Per lei quella non era solo la casa della sua infanzia ma il cuore di un mondo. Un mondo legato al lavoro, all'odore acre dei fosfati, alle gente che si guadagnava il pane onestamente e onestamente, con dignità, viveva la sua miseria.
Non è il rudere malconcio, covo di sbandati rumeni, ad essere crollato sotto i colpi della ruspa stamattina. Questo è soltanto quello che ci può vedere un pover'uomo come il Sindaco. Quello che è stato demolito è l'amore e il rispetto per la storia della gente. Per "gente" mi riferisco sia agli anziani, alla loro vita vissuta della quale anche noi - che pure non l'abbiamo vista - siamo figli, ma anche ai nuovi ospiti di quella casa ai quali, dopo mia madre, proprio quella casa aveva saputo dare un riparo e dei quali aveva condiviso le tribolazioni, le paure, le umiliazioni.
Quei muri, quegli intonaci erano intrisi di passioni umane, di sguardi smarriti, di sogni di un futuro migliore... A saperli ascoltare, quei muri, raccontavano. A saperli vedere, sorridevano.
Dove andranno ora quelle persone che ho imparato a conoscere nelle fredde sere dello scorso gennaio... che mi hanno chiamato per nome, che mi hanno donato una canzone suonata con la fisrmonica? Andranno a chiedere alle vecchie case un pò di ospitalità. Alle case che, come loro, la gente per bene rifiuta, scarta, butta via. Con loro condivideranno l'esistenza fintanto che le ruspe della gente per bene non verrano ancora a spazzare via entrambi.
Ma sotto i colpi delle ruspe non fate che distruggere il vostro passato (le case) e il vostro futuro (i nuovi residenti) in nome di un presente che pensate eterno e immobile, mentre invece, privato del passato e del futuro, quel presente si spegnerà come la fiamma di una candela sotto la pioggia lasciandovi soli, nel buio.
Ed io per questo ora, qui, assieme alle vecchie case ed agli amici rumeni, provo davvero pietà di voi.

domenica 24 giugno 2012

pecore ribelli

Quando, da bambino, andavo a catechismo per ricevere una formazione culturale cattolica ricordo che l'educatore ci leggeva passi del Vangelo con il dichiarato intento di usarli come veri e propri mattoni con cui costruire le fondamenta del nostro giovane pensiero.
Alcuni di questi "mattoni" già da allora proprio non mi andavano giù ed ho sempre avuto il sospetto che tra i tanti mattoni fatti da Gesù Cristo ce ne fossero altri, fasulli, messi lì da qualcun'altro per ben altri fini educativi di quelli che animavano il Nazareno.
Era soprattutto quando si parlava della gente paragonandola a un gregge di pecore bisognoso dell'amorevole cura di un pastore che nasceva in me il fastidio ed il sospetto.
Se Gesù parlava alle persone direttamente, per suscitare una presa di coscienza individuale, affinchè il ricco decidesse di abbandonare le sue ricchezze o il giovane figlio lasciasse perdere di seppellire suo padre (perchè i morti seppellissero i morti). Se insultava i commercianti nel tempio; se creava continuamente scandalo affinchè le menti delle persone si svegliassero come poteva, mi chiedevo, considerare le persone come "pecore", incapaci di prendere la giusta decisione senza una capo che le guidi?
Ancora oggi ho la convinzione che i Vangeli, filtrati e ripubblicati dalla Chiesa, abbiano subìto la manomissione di chi doveva pur dare motivo delle gererchie e dei potentati, dell'esistenza necessaria di una casta di eletti, distinguendo il "gregge" dai "pastori".
Perchè il potere, per affermarsi, deve giustificare la sua utilità basandosi proprio sull'incapacità a governarsi del popolo: fatto di individui per loro natura deboli, indifesi, come pecore....
Accade la stessa cosa nell'espressione del potere politico, quando alcune persone si ergono a rappresentanti del popolo, perchè il popolo - a loro detta - non sarebbe capace di prendere le giuste decisioni e farebbe scivolare la comunità nel caos e nell'anarchia.
Le religioni, come le ideologie, si fondano sul concetto che le persone sono pecore. Esseri stupidi e incapaci di stare al mondo e di difendersi dai lupi.
Nella primavera del '68 francese gli anarchici gridavano "Ni Dieu ne Marx" (riprendendo il vecchio motto ni dieu ne maitre). Era un grido forte che non assomigliava affatto al belato delle pecore ma più al verso aggressivo e volitivo di caproni con tanto di corna, che sanno farsi rispettare e sono capaci da soli di tenere lontani  i lupi.
D'altra parte, le pecore esistevano prima che arrivassero i pastori, e sapevano vivere da sole, libere e felici, difendendosi senza problemi dai predatori.
Le pecore selvatiche di un tempo non avevano bisogno di guide e di pastori. 
Le pecore di oggi, quando si svegliano, diventano "pecore ribelli" pronte a caricare ed incornare chiunque tenti di ammansirle con l'intento di dominarle.
I pastori, vecchi e nuovi, sono avvisati!

giovedì 7 giugno 2012

Teoria,critica, coraggio


Spesso nei dibattiti attorno alla nuova politica ed alle questioni attinenti la partecipazione dei cittadini alle scelte si discute attorno alla differenza tra il farsi rappresentare e l'autorappresentanza, ed al concetto di cittadinanza che ne deriva.
Chi, come me, pensa sia necessaria l'elaborazione di una teoria a sostegno di un nuovo pensiero, tende a generare una serie di conseguenze, più o meno dirette, legate al concetto di autorappresentanza. Conseguenze che spingono il pensiero e il cambiamento della società ben al di là di quanto la maggior parte delle persone percepiscono partendo quel medesimo concetto e che giungono a coinvolgere il nostro stesso modo di essere e di vivere, cambiandole in modo radicale.

Il più delle volte nascono incomprensioni dovute essenzialmente ad una forma di resistenza del nostro abituale modo di pensare di fronte al lampo accecante della teoria. I più sono portati a chiudere gli occhi altri ribattono alzando la voce e i toni perchè si sentono trascinati in un terreno pieno di insidie e ne hanno paura. Un terreno ben diverso dalle certezze a cui ci hanno insegnato a restare ancorati.
Non è facile mettersi veramente in discussione, non è facile abbandonare le tante "appartenenze" per navigare liberi in mare aperto. I gruppi, i piccoli o grandi greggi di cui facciamo parte, sono come una barca ferma nelle calme acque del porto, prottette da sponde sicure e conosciute.
La famiglia, la comunità religiosa, lo Stato, la squadra sportiva, il partito... sono tutti rifugi sicuri che ci preservano dalla paura dell'ignoto ma che ci impediscono al contempo di essere davvero liberi.
Essere liberi significa essere soli, nel buio della notte, cercando rotte nelle stelle, alte, luminose, ma inesorabilmente lontane.
Essere liberi è la condizione essenziale per non restare accecati dal lampo della Teoria, per sviluppare l'esercizio del pensiero critico.
Ma occorre coraggio per essere liberi... coraggio e follia.
L'individuo libero non è per questo migliore di chi libero non è.
Ma l'individuo libero, proprio per quel coraggio e per quella follia, per quella straordinaria capacità di volare in alto, dovrebbe suscitare negli altri ammirazione e rispetto e non un rancore di malcelata invidia.
Perchè sono gli uomini liberi, gli eccessivi, e non i pavidi e gli abitudinari, i portatori del cambiamento.