X FALCONARA

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sabato 2 settembre 2017

Camminando per Falconara - 1.7


Nella parte nord della città è l'anima più vera di Falconara. Le prime palazzine popolari, il "palazzo dei ferrovieri", ricordano il tempo in cui ai primi villini balneari si aggiunsero le case dei lavoratori, giunti qui dopo la creazione del nodo ferroviario.

E' qui che si forma la comunità moderna di Falconara "bassa" dove si raccoglieranno tutte le immigrazioni: per primi i "tarpàn" - gente contadina e ruvida proveniente dall'interno della provincia anconetana e dall'umbria; poi sarà la volta dei "giargianèsi" - i meridonali, per lo più da abruzzo, puglia e campania; molto più di recente è arrivata "quèla gente", "lora", gli stranieri - rumeni, albanesi, bengalesi, cinesi, magrebini,... da ultimi "quèli de i barcòni", per lo più africani.

Il quartiere risponde con architetture sempre più scadenti. Dalle digitose palazzine anni trenta, si assite alla proliferazione di palazzoni utili solo a stoccare corpi, senza alcun interesse alla qualità dello spazio urbano o al decoro. Per gli ultimi, i più poveri e disperati, provenienti da paesi lontani, non c'è nulla. La città non crea spazi di accoglienza. Sono costretti ad arrangiarsi in quello che trovano o ad usare la strada se non trovano di meglio.
In questa parte della città i prezzi delle abitazioni sono in caduta libera. Ci sono tantissimi appartmaneti vuoti ma i propretari non mettono più neanche i cartelli "vendesi". Non sperano più di poter ricavarne qualcosa. 

 Passo vicino all'ex laboratorio di falegnameria dei fratelli Mentrasti. Artigiani di grande maestria che hanno lavorato anche per l'architetto Danilo Guerri, costretti a chiudere perchè la qualità nel lavoro non è più apprezzata e alla fine non ci si sta nei costi. Vince chi lavora in serie, chi uniforma, esternalizza il lavoro dove costa un terzo di meno... vince l'IKEA e scompare la cultura del lavoro d'arte, scompare il gusto del fare... il gusto per la bellezza.

La bottega di Mentrasti pare oggi come un'astronave atterrata lì da un altro mondo. Un'eccezione...un errore nel paesaggio che la circonda. Un cartello appeso sul muro mostra diverse ipotesi di riutilizzo dell'immobile...tre soluzioni, tuute brutte...tutte anonime e stereotipate. Per fortuna nessuno ci vuole investire e la bottega rimane lì, con ancora all'interno le capriate, i segni fatti nei muri per ricordare le misure di un taglio, vecchi attrezzi lasciati lì nella polvere.
Sopra la bottega un muro bianco, muto, di un palazzo incombe. E' un'mmagine ricorrente a Falconara. I prospetti vuoti dei palazzi costruiti sul limite della proprietà - in aderenza - scandiscono lo spazio del centro città come i grattacieli a Manhattan. Funghi di cemento che svettano dalla città precedente fatta di case non più alte di tre-quattro piani.
L'immaginazione mi porta a vedere in quelle superfici patte una tavolozza su cui disegnare un mare che a volte si vede, a volte no, ma che quasi mai si fa vivo e "vero" nella nostra mente.
Allora una sirena si immerge nella profondità a sfiorare il tetto della vecchia bottega di Mentrasti, come fosse il relitto di una nave affondata.
Più avanti una orribile palancolata in ferro assumese sembianze di un volto di donna (la dea Venere?) e un anonimo parcheggio diventa la sosta da cui lsciare l'auto e incamminarsi in un paesaggio fantastico dove tra le nuvole corrono imponenti velieri.

Basterebbe indire un concorso a tema e anno dopo anno la città si trasformerebbe da uno spazio triste e degradato ad un luogo di vitale fantasia, dove prende forma quel legame con il mare che non c'è mai stato, se non nel segreto dell'anima di ciascun cittadino, timoroso di esternarlo, di confidarlo all'altro.
Sarebbe un modo per aprirsi. Per raccontare di sè ed ascoltare degli altri. Per riappropriarsi delle storie delle semplici vite di chi abitava qui prima che giungesse "la città".   Dei pescatori che alla mattina "tiravano la tratta" e non si sentivano ancora "classe sociale" ma persone da chiamare per nome, una diversa dall'altra e per questo importanti, irripetibili.


E' da quel modo di essere, al di fuori dagli schemi sociali prestabiliti, che occrre ripartire se vogliamo pensare ad una nuova Falconara possibile.
Basta classificare i proletari, rispetto ai borghesi e ai capitalisti, o gli italiani dagli stranieri, i chiari e gli scuri, i belli ed brutti, gli acculturati e gli ignoranti. Dobbiamo fare un gran falò di tutte queste categorie, dei gruppi di appartenenza, dei gruppi di interesse e ritornare esseri umani, guardarci negli occhi, chiamarci per nome e stringerci la mano.

Passo vicino ad un muro malfatto dove qualcuno ha firmato "patata87" con della vernice gialla.

Immagino su quel muro, ripulito e alzato quanto basta, il disegno di quella gente di un tempo - delle persone che avevano un nome ed una storia -che mi osservano.Mi sento uno di loro e provo una bella sensazione. La sensazione di non essere solo. Lo so è solo un disegno...è solo un frutto dell'immaginazione...  ma mi chiedo davvero che cosa resti della realtà, alla fine  se privata dell'immaginazione. Che cosa resti di noi.



 Falconara ha bisogno di costruirsi nuova, ma per farlo deve riprendersi il suo passato.
E' il passato a garantire che il nuovo non si affermi come una società senza individui, come una spoliazione di ogni originalità per finire ad essere accomunati dall'assenza, dal vuoto, dal nulla.

E' la traccia lasciata da chi ha camminato prima di noi a darci la direzione e la rotta, a permetterci di orientarci in questa lunga notte senza stelle.

Lo spettro della città anomina, dell'alveare multietnico ma non per qusto variopinto, della solitudine nella folla, abita già tra le strade di Falconara.

Lo intravedi passando tra le pareti degli edifici che si fronteggiano, dove non entra mai la luce del sole e la gente si protegge dalla gente. Dove la paura dell'altro rende tutto un fastidio e una minaccia.

E' solo la storia - la radice della nostra identità - che ci può salvare. Il nuovo cittadino, l'immigrato, è tale se risesce ad assimilare la cultura e l'identità del luogo di arrivo non se si rinchiude in quella del luogo di provenienza. L'immigrato diventa cittadino nella misura in cui esce dalla categoria di "extracomunitario", o di persona "di colore" o di "clandestino"...e si espone come persona.

Siamo noi, con le nostre categorie, a dividere la comunità, a creare incomprensione  diffidenza. Siamo noi, dimentichi della nostra storia, ad essere per primi estranei nella città. 
E molto spesso è ancora l'ipocrisia del "buon selvaggio" a farci vedere nello straniero sempre e solo un individuo senza nome - da aiutare perchè inevitabilmente inferiore e bisognoso - che accomuniamo con un appellativo qualsiasi, come Robinson Crusoe fece chiamando quel selvaggio "Venerdì".


E' questo distacco che poniamo tra noi e gli altri a generare il "problema sociale", l'insicurezza, la paura. Quella paura che lascia deserti i giardini pubblici, che ci porta a dover accompagnare i bambini in ogni istante, come facciamo con i cani , senza mai lasciarli liberi di giocare da soli. 


Passo davanti ad una villa in stile eclettico-medioevale, con una bella decorazione in ceramica che raffigura i segni zodiacali.
Penso che l'architettura degli edifici è mutata nel tempo come quella delle persone.  Fino ad un certo punto ogni edificio era, almeno in parte, differente dall'altro, sebbene capace di "dialogare", a comporsi con gli altri edifici nel formare la città. Così erano le persone rispetto alla comunità.

Oggi invece, case e persone, sono uguali una all'altra, omologate, eppure indifferenti ad una qualsiasi composizione che formi, da un lato la "urbs", la città, e dall'altra la "civis", la comunità.

Pochi passi e mi trovo alle spalle dell'ex asilo infantile che era gestito dalle suore. Da piccolo sono andato anch'io lì all'asilo.
Oggi l'edificio è pressochè vuoto (ogni tanto vedo una suorina che esce...ma saranno al massimo due o tre), come altri edifici appartenenti alla Curia.

Mi chiedo perchè la Chiesa non mette a disposizione queste strutture per ospitare la gente che non ha una casa, anzichè predicare e non fare? Facendo due conti, con tutte le proprietà sparse in Italia si potrebbero ospitare dignitosamente più del doppio degli immigrati e dei senza casa presenti oggi nel Paese.  Ma, come ammonva sempre mio nonno, "a discòre n'è fadìga, diceva Barigèlo!"....


Volto verso casa e passo per quello che, sono certo, è il tratto asfaltato pù dissestato della costa adriatica: il tratto iniziale di via Martiri della Resistenza.  Se ci passate con l'auto state attenti perchè i vostri ammortizzatori saranno messi a dura prova...Se ne uscite indenni siete pronti per il "Camel trophy" o la "Parigi-Dakar".

Rientro a casa. E stata una bella camminata...ma la mia gatta, Maja, è un pò stizzata, perchè si è svegliata con la fame e si è accorta che in casa non c'era nessuno. 
Ecco, Maja, scusa....adesso ti do da mangiare....