X FALCONARA

spazio libero di chi vuole un futuro migliore per la nostra città

venerdì 31 agosto 2012

Brooklyn, Edimburgo, Falconara e la questione dell'identità


Gli italiani che si somo diffusi in tutto il mondo nel secolo scorso erano grosso modo sempre gli stessi: gente povera, intraprendente, sveglia...  Eppure i giudizi su di loro da parte di chi li ha accolti sono molto diversi.
A Brroklyn gli italiani vivevano come in un ghetto, considerati con razzismo "quasi negri", violenti, sporchi, ladri e soprattutto "mafiosi".
Pochi sanno che gli italiani emigrati in Scozia sono stati molti di più di quelli giunti a New York, almeno come peso percentuale sulla popolazione locale. Nessuno però a Glasgow o a Edimburgo ha mai insultato chi portava un cognome italiano. Certo, ci sono anche lì battute e sfottò sugli italiani, come noi facciamo con inglesi e tedeschi, ma oggi in Scozia i discendenti  degli italiani sono circa il 10% della popolazione, perfettamente integrati, pienamente "scozzesi" alla pari dei Macintosh, degli Stewart, dei Drummond....
Che cosa ha fatto si che gli italiani si siano conquistati una cattiva fama a NewYork ed un'ottima reputazione a Edimburgo? Se abbiamo rilevato come gli italiani andati in america o in scozia erano sostanzialmente gli stessi la differenza non deve essere negli immigrati ma in chi li ospitava.
Gli scozzesi sono noti per il loro attaccamento alle loro tradizioni, per l'ogoglio di popolo, per l'amore verso la loro terra. I newyorkesi non hanno storia nè tradizioni, non amano la "loro" terra ma un concetto astratto di "patria" legata all'immagine della bandiera ed alle opportunità future di successo  individuale che quella patria rappresenta.
Quando Paolo Nutini, musicista scozzese figlio di italiani, intona la canzone "Caledonia" che è un canto d'amore per la terra di Scozia, tutti gli scozzesi cantano con lui. Nutini non ha sangue scozzese, i suoi geni, i suoi lineamenti non sono scozzesi, ma dagli scozzesi ha imparato l'amore per la terra che è divetata la "sua" terra.

Quando i  falconaresi si lamentano degli immigrati e li insultano si comportano come i newyorkesi. Si comportano come chi non ha una storia da raccontare, tradizioni di cui andare fieri. Come chi non sa trasmettere ai nuovi arrivati l'amore per la terra perchè è ormai indifferente a quella terra. 
Ma se i newyorkesi non amavano la loro terra  perchè avrebbero dovuto farlo gli immigrati italiani? Perchè gli italiani, come i newyorkesi, non potevano farsi i "loro affari"?
Così, se i falconaresi non amano la loro terra perchè si meravigliano dello scarso civismo degli immigrati? O del fatto che vivono a modo loro?

Se noi andassimo orgogliosi del nostro passato, se ne custodissimo davvero i valori, se difendessimo la terra e il mare in cui siamo nati e cresciuti come figli. Se avessimo storie da raccontare ai nuovi arrivati, da condividere con loro, gli immigrati ne sarebbero affscinati come furono affascinati gli italiani giunti in Scozia.
Piangerebbero di commozione, i giovani figli di gente venuta da lontano, al sentire le canzoni tradizionali o l'inno nazionale, sentendosi pienamente italiani e falconaresi.
Ma tutto dipende da noi, da quanto di buono e di bello scaturisce dai nostri cuori e ravviva i nostri sguardi.


mercoledì 29 agosto 2012

la Falconara del futuro

Nella sua pur breve storia Falconara è stata sempre caratterizzata da un marcato dinamismo sociale. Una piccola comunità formatasi già anticamente all'insegna della fusione di genti diverse, schiavoni, lombardi, romagnoli è stata nuovamente inondata nel secondo dopoguerra da immigrati dell'entroterra umbro-marchigiano prima e del mezzogiorno d'Italia poi (soprattutto abruzzesi e pugliesi).  Questa è la Falconara dei nostri anziani. Una Falconara già cambiata, nel dialetto e nei costumi, di quella precedente. La Falconara della rotonda Bedetti e delle sale da ballo, cancellata poi dal mito dell'industrializzazione.
La Falconara di oggi è ancora diversa, nuova, grazie a nuovi immigrati che mantengono viva questa profonda "identità" falconarese: la multiculturalità, sinonimo di apertura mentale, dinamismo, ma anche di fragilità sociale di scarso attaccamento al luogo, debolezze queste per rimediare alle quali occorre lavorare.
Eppure è questa la Falconara del futuro e su questa dobbiamo fondare i nostri progetti di cambiamento. Ed è di questa Falconara che dobbiamo cogliere le opportunità e la forza.
La nuova dimensione sociale falconarese, espressione della globalizzazione, porta con se alcuni valori essenziali che, pur patrimonio della nostra tradizione, assumono un risalto tutto nuovo:
Tra questi il valore della laicità della vita civile. La nostra società civile, l'idea di Stato, è stata sempre segnata dalla compresenza della religione cattolica come una sorta di istituzione parallela, anche in quanto identificativa dell'intera comunità, cui spesso è demandata la politica sociale, giovanile e assistenziale.  Ferma restando la positività dell'azione sviluppata ancora oggi nella società dalla componente cattolica, il nuovo peso assunto da altre visioni della religione come effetto della presenza di nuove componenti culturali nella società impone una riaffermazione della laicità, nell'educazione dei giovani, nell'istruzione, nella sfera civile, nel welfare che possa garantire parità ed eguaglianza a tutte le componenti della attuale realtà sociale.
Significativo in questo senso il caso della chiesa (non più chiesa?) di San Marcellino a Palombina. 
La chiesa fu costruita dalla Curia su un terreno di proprietà del Comune e destinata, all'interno degli standards per servizi, ad ospitare strutture religiose intese come servizio alla collettività. La Chiesa cattolica fece richiesta e costruì, in diritto di concessione, il manufatto. Successivamente la struttura non fu più funzionale ai programmi pastorali della Curia e venne, se non proprio dismessa, sottoutilizzata.
Oggi corre voce che la parrocchia di San Giuseppe, da cui dipende la gestione dalla chiesa di San Marcellino, abbia avviato una interlocuzione con il Comune per destinare il manufatto ad usi diversi da quelli originariamente previsti o addirittura per recuperare la volumetria ad usi residenziali, dove la Chiesa venderebbe il volume edificabile e il Comune il suolo su cui edificare, con reciproco vantaggio economico. Non so se queste voci corrispondano al vero e spero sinceramente di no, perchè se così fosse ci troveremmo di fronte a qualcosa di inaccettabile, in riferimento a quel valore di laicità dello Stato che abbiamo detto essere, oltre che sancito dalla Costituzione italiana, elemento fondativo della nuova dimensione sociale.
Un'Amministrazione pubblica che fosse veramente espressione della nuova società civile dovrebbe tenere in questo caso ben altro comportamento. Stante che quell'area è stata riconosciuta essere funzionale all'esercizio della religione. Stante il fatto che la Chiesa cattolica, concessionaria su sua richiesta dell'area, non intende più utilizzarla per il culto religioso, il Comune dovrebbe fare un bando per l'assegnazione dell'area - con risarcimento della Chiesa per i costi del manufatto - ad altre comunità religiose che intendano esercitare il loro culto. Cristiani ortodossi, musulmani, buddisti, ebrei, induisti, evangelici o protestanti... non fa alcuna differenza per un governo laico.
Sarebbe questo un limpido segnale che l'Amministrazione pubblica vede  e riconosce la nuova società civile, ed è da questa riconosciuta.
Il problema, per le istituzioni locali, non è contenere la spinta verso il cambiamento, il problema è diventarne gli interpreti consapevoli. Perchè una cosa è certa: i nuovi cittadini di Falconara costruiranno la nuova società di Falconara. La stanno già costruendo.  Il dubbio è se in quella società le attuali istituzioni, le attuali compagini politiche e sociali, avranno o non avranno senso e ruolo.

venerdì 24 agosto 2012

Falconara 2012: l'annientamento

La notizia che il Ministro Passera intenderebbe eliminare l'aeroporto passeggeri di Falconara per adibirlo al trasporto merci è soltanto l'ultimo di una serie di avvenimenti che, se visti nel loro complesso, ci porta a comprendere come, approfittando della crisi che offre una indiscutible motivazione, si stia dando attuazione ad un preciso piano volto all'annientamento della nostra cittadina.
Possiamo notare come questa strategia sia analoga a quella che sta devitalizzando Ancona, ma a Falconara i colpi inferti al territorio sono sistematici, puntuali, precisi...
Il progetto del cosiddetto by-pass ferroviario non comporta soltanto la devastazione di un terrtiorio fragilissimo, la condanna degli abitati di Fiumesino e Villanova, la compromissione di aziende come il CAF e Contini gomme, la chiusura dell'azienda agraria Baldoni. Il by.pass comporta la fine della stazione ferroviaria di Falconara intesa come nodo fondamentale e la sua riduzione a stazioncina di quartiere, alla stregua, per intenderci, di quella di Torrette.
Quest'anno poi è esplosa la "questione Api", con la probabile chiusura della raffinazione. Una questione che si può sintetizzare in una immagine: la famiglia Brachetti Peretti, che si è arricchita approfittando del lavoro e della salute dei falconaresi, se ne va con il bottino senza neanche salutare.
Che cosa accadrà nell'area Api? che garanzie avremo per una bonifica? davvero accadrà, come ripete a pappagallo il sindaco Brandoni, che ci ritroveremo una centrale che brucia rifiuti?
Nel frattempo la Quadrilatero che doveva portare "sviluppo e occupazione" è evaporata e il nuovo, inutile, svincolo autostradale della Gabella avrà il solo risultato di togliere traffici dall'attuale svincolo di Ancona Nord.
Falconara, che tutti i recenti politici hanno identificato con la sua funzione di "nodo fondamentale della mobilità marchigiana" sta perdendo la stazione ferroviaria, l'aeroporto e gran parte della forza del casello autostradale...
Nel frattempo continua il degrado dela ex montedison, della ex villa montedomini, della ex liquigas, della ex Filipponi, dell'ex Fanesi, della ex Squadra Rialzo, della ex Isea, dell'ex mulino Santinelli,.... una sequela ineusaribile di ex manufatti che delineano il volto devastato di una ex città.
Nel frattempo si chiudono servizi, come il ristorante balcone del golfo, come probabilmente accadrà all'Hotel Avion a causa del perdurante rischio di alluvioni. Chiudono negozi ed attività.

Ma la giunta Brandoni è contenta perchè anche quest'anno, con l'IMU e le tasse al massimo, l'amministrazione comunale è riuscita a far quadrare il bilancio.
Un bilancio sano per una città fantasma. Un gran bel risultato, non c'è che dire.
Ma la scusa è già pronta. Non siamo noi a decidere le scelte territoriali è il governo regionale del centrosinistra! E' il governo nazionale di Monti e dei suoi tecnici!
Peccato che mai si sia alzata una voce di protesta dal Castello di Falconara. Che mai abbiamo avuto l'onore di vedere Brandoni difendere, da Sindaco, il futuro della sua città.

lunedì 13 agosto 2012

INTERVISTA A MANUEL CASTELLS


 

 

questo è il testo di una interesante intervista a M.Castells pubblicata sul sito di DemocraziaChilometriZeroAssolutamente da leggere, per capirci di più su quello che sta accadendo e individuare le vie da seguire per conquistare un cambiamento possibile

Castells: l’indignazione, la speranza

Questa ampia intervista è stata concessa da Manuel Castells, sociologo catalano che insegna negli Stati uniti, uno dei maggiori studiosi di internet – tra le altre cose – a Francesco Guaita per la televisione russa Rt-Tv. Ed è stata trascritta e pubblicata dal sito brasiliano Outras Palavras ( www.outraspalavras.net), con una introduzione di Antonio Martins. DKm0 ha tradotto in italiano l’introduzione e l’intervista a Castells.
Manuel Castells sembra più intenzionato che mai a ricavare, dalle sue teorie, delle soluzioni politiche. Nelle prossime settimane presenterà la prima edizione, in castigliano, di “Redes de indignación y esperanza”, il suo nuovo libro. L’autore di opere come la trilogia “L’età dell’informazione”, che hanno contribuito a decifrare le tendenze a lungo termine della società e della democrazia contemporanee, è convinto della necessità di agire rapidamente, prima che queste tendenze svaniscano.

Attento osservatore e collaboratore attivo degli indignados spagnoli, questo sociologo di fama internazionale è solito ripetere che il cambiamento di mentalità, quello che il movimento desidera, richiede tempo. Ma è possibile aspettare?

Castells ha anche notato che la vecchia democrazia si è chiusa su se stessa, a causa di due fattori principali. Una piccola oligarchia legata alla finanza, si arricchisce grazie allo Stato. Sono gli investitori in titoli di Stato, i cui rendimenti miliardari non sono più direttamente connessi alla produzione: dipendono da governanti disposti a mantenere alti tassi di interesse, a lasciar libere le banche di controllo, a tagliare i bilanci statali a favore di altre classi sociali – come il funzionamento dei servizi pubblici, delle pensioni e dei programmi redistributivi.

E questa oligarchia, che ha ampie risorse per finanziare le campagne elettorali, finanziare i media tradizionali e produrre una azione intensa di “lobby”, si associa nella maggior parte dei paesi a una classe di “politici di professione” che tende all’autismo. Preoccupati di mantenere il loro potere, rifiutano le molteplici opportunità democratiche che le nuove tecnologie offrono. Spesso ricorrono alla violenza della polizia. Permanentemente minacciano la stessa libertà in Internet.

E’ nella rete, come sappiamo, che Castells vede, da tempo, la speranza. Qui, i cittadini stanno moltiplicando i modi di produrre collettivamente, di cambiare senza dipendere dal denaro, di creare reti di informazione reciproca. Questa immensa rete di relazioni democratiche e partecipative nuove non si è estesa alle istituzioni perché questo non interessa l’oligarchia finanziaria e i politici di professione.

Castells non si arrischia a prevedere il disastro di questo scontro latente. Sa che ci sono dei rischi: se il sistema rimane chiuso, i movimenti “si radicalizzeranno inevitabilmente ” – e questo può includere la violenza, ciò che può fare il gioco delle classi dominanti.

Contro questo e altri rischi, Castells scommette sul movimento stesso – e su una nuova ondata di possibili proteste. Grazie all’indignazione, dice, le società stanno cominciando a superare la paura che le paralizzava. Ora, che perché non si generi solo rabbia, questa indignazione deve diventare speranza e alternative. È questa la sfida che il docente catalano –   espulso dalla Spagna dal regime franchista e dalla Francia per essere stato considerati un promotore dei movimenti del 1968 – sembra disposto ad affrontare. Qui offriamo l’intervista che ha concesso il 17 luglio alla rete televisiva internazionale Russia Rt. (Antonio Martins)

Di solito lei dice che il potere non è alla Casa Bianca, o sui mercati finanziari, ma nel nostro stesso cervello. Perché questo è un segreto delle élites?

Beh, è perché se loro lo confessassero, perderebbero il potere. Il vero potere non è il potere della polizia o dell’esercito: questi sono usati in ultima analisi, quando le cose vanno molto male per gli interessi dei potenti. La cosa più importante, se lei vuole avere potere su di me, è riuscire a farmi pensare in un modo che favorisca quello che vuole, o che mi spinga a rassegnarmi. Lì è il potere! Per questo, l’essenziale è il potere che sta nella mente, e la mente si organizza in funzione di reti di comunicazione, reti neurologiche nel nostro cervello, che sono in contatto con le reti di comunicazione nel nostro ambiente. Chi controlla la comunicazione controlla il cervello e in questo modo controlla il potere.

Movimenti come Occupy cercano di conquistare le piazze e le strade per dire che così non funziona, vogliono che il potere venga dalle persone. Questa è una richiesta che, per molti, non otterrà alcun risultato nella politica o nell’economia. Cosa ne pensa?

Dipende da cosa si intende per risultato. Se lei vuol dire che da questo uscirà un partito politico che vinca le elezioni nei prossimi due anni, questo non lo si può sapere con certezza. Tutti questi movimenti raccolgono frutti a lungo termine. Lo slogan più diffuso degli indignados è “stiamo andando piano, perché andiamo lontano”. Andiamo lontano verso dove? Se si produce un cambiamento nella mente dei cittadini, dopo un certo tempo questo si trasformerà in cambiamento sociale.

I dati mostrano che in Spagna, circa il 70% dei cittadini concordano con le critiche degli indignados. La maggioranza delle persone pensa anche che non si potrebbero cambiare le cose a breve termine. Le due cose sono compatibili? La gente pensa che il movimento ha ragione, ma non ha gli strumenti.
Se è la grande maggioranza, perché non c’è cambiamento?

No, perché non hanno per chi votare. Il movimento stesso non ha voluto creare un partito, per non riprodurre vecchia politica. C’è un abisso così grande, tra ciò che gli indignados pensano e il sistema politico reale, che vi è una espressione politica in grado di rappresentarli. Ad esempio, se il Partito socialista fosse stato in grado di pensare che un movimento così avrebbe potuto rivitalizzarlo, avrebbe avuto un futuro. Ma i socialisti si sono legati completamente alla speculazione finanziaria. Hanno obbedito alla Banca di Spagna ed erano completamente incapaci di immaginare un altro sistema finanziario, perché questo non gli importava. C’è una lunga lista di motivi per cui gli indignados disapprovano i socialisti e i socialisti non hanno mai fatto nulla per cambiare.

Le élite politiche di tutti i paesi hanno optato per questo atteggiamento. Pensano che non ci sono problemi, continuano con i loro affari, l’unica cosa che conta sono i voti ogni quattro anni, con una legge elettorale che i grandi partiti hanno fatto perché solo loro stessi potessero vincere. Negli Stati Uniti, se non sei democratico o repubblicano, non hai nessuna chance. Inoltre, se non si dispone di molto denaro, non si può vincere, semplicemente. Non si ottengono voti, se non si compra la campagna con il denaro. I critici di tutto il mondo suggeriscono che questo tipo di democrazia non è sufficiente. Di conseguenza, con queste regole del gioco, spendere tutta l’energia per fare della politica formale è una operazione priva di senso. Riproduce i vecchi schemi dei gruppi di sinistra trotskisti, marxisti-leninisti, di tutti i tipi, che sono sempre stati nelle istituzioni, ma che non sono mai arrivati a nulla. O che hanno tentato la rivoluzione armata – che nessuno vuole, perché è quello degli indignados è un movimento chiaramente non violento. Allora, bisogna fare qualcos’altro, così vanno per questa lunga strada della trasformazione delle coscienze, di modo che a un certo momento i cittadini possano prendere altre decisioni, e di lì potrebbero nascere nuove forze politiche.

Con un altro cambiamento nel gioco? Non c’è bisogno di cambiare le regole?…

Uno dei gruppi del movimento spagnolo – perché non è un movimento, ma una galassia – mi ha chiesto di scrivere una proposta di riforma della legge elettorale. L’ho fatto, con un amico competente su quel soggetto. E’ una proposta di voto proporzionale, di limitare il potere dei partiti maggiori, per far sì che, in parlamento, gli astensionisti siano presenti – anche visivamente – non in quanto rappresentanti, ma visibili. Se il 30% dei cittadini non vota, quel 30% deve essere presenti, e le maggioranze si devono costituire sull’insieme dei cittadini, non solo su quelli che votano.

C’è una serie di cose che si potrebbero ottenere, ma c’è, nelle istituzioni politiche e nei partiti, una resistenza enorme ad essere veramente democratici. Tra le altre cose, perché è un modo di vivere, sono politici di professione. In tutti i paesi, la professione più in basso quanto a reputazione, è quella politica. In Italia, in un sondaggio sul gradimento hanno incluso anche prostitute e mafiosi, chje si sono collocati in una posizione migliore rispetto ai politici. La gente ha commentava: “Almeno, dicono quello che fanno”.

C’è una crisi di fiducia nel mondo nei confronti della classe politica. Se continua così, ad un certo punto si romperanno le relazioni con la società, il che sarebbe molto grave. In Spagna, c’è una situazione relativamente calma e pacifica. E fortuna che, con il 22% di disoccupazione e il 48% tra i giovani, non ci sono molti problemi nelle strade. Il movimento degli indignados canalizza i dibattiti e le proteste, offre una speranza, in particolare ai giovani, che possono cominciare ad organizzarsi e vediamo cosa succede. Ma se la situazione continua così, il movimento si radicalizzerà necessariamente.

Perché le istituzioni si separano tanto dalle persone? Perché l’abisso si sta allargando?

Primo, perché le élites finanziarie detengono il potere economico e hanno creato un sistema in cui, invece di dare credito alla produzione, quello che fanno è vendere denaro per creare denaro artificiale e fabbricare una piramide in tutto ciò che è fittizio, a livello globale. Hanno artificialmente aumentato i prezzi degli immobili, delle azioni, e hanno concesso prestiti alle persone senza che queste lo chiedessero. Avevano paura e non capivano, perché il business era vendere denaro, e prestiti, a qualsiasi condizione. In modo totalmente irresponsabile, dal punto di vista dell’economia, ma molto interessante per loro, perché tutti i grandi manager che ora sono stanno abbandonando le banche ne escono con liquidazioni milionarie. Per loro, tutto ha funzionato alla grande.

Quando vince la giustizia, nelle regole del gioco che lei propone di ricostruire?

Quando i cittadini abbiano la capacità di farlo. Se le persone possono votare. Ma, primo, possono farlo solo ogni quattro anni. In secondo luogo, con regole molto inique. Pertanto, è molto difficile cambiare attraverso il voto.
La maggior parte dei politici sono persone più o meno oneste: non è vero che sono tutti corrotti. Però qual è l’obiettivo principale di un politico? Conservare il posto. Questo aspetto è il più importante perché, per la maggior parte di loro, è una professione. Se non lo facessero, dovrebbero lavorare come tutti gli altri. Se mantengono il potere, hanno collocazioni migliori, anche perché la maggior parte non ha un livello professionale molto alto.

Quindi, la classe politica si riproduce. Per entrare in un partito, è necessario iniziare a entrare in uno dei gruppi interni. E’ tutto un mondo chiuso in se stesso, e questo mondo non ha ossigeno. La novità è che con Internet, si sono aperte finestre. Perché politici e banchieri insieme controllano i media. Non controllano i giornalisti, che per fortuna sono la linea di resistenza, ma orientano i proprietari dei mezzi di comunicazione e, di conseguenza, la loro linea editoriale. Di conseguenza, controllano i media, la finanza (e quindi l’economia), e lo Stato attraverso una classe politica che si riproduce.

Fuori da tutto questo, c’era solo Internet. Ed è stato appunto da internet che sono state costruite reti di dibattito,  reti organizzative, reti di azione. Ma, per agire sulla società, le persone devono uscire, andare per le strade. E quando Internet, come spazio libero di comunicazione, si è sommata con l’occupazione di spazi pubblici, trasformati in agorà, il gioco ha cominciato a cambiare. Ma il movimento ancora non si traduce in grandi cambiamenti nella politica, poiché il sistema è chiuso.

Quanto è lontano il cittadino dalla realtà rappresentata dai media?

Dipende dal problema. In Spagna, i media hanno ripetuto migliaia di volte, per due anni, le richieste del presidente (del governo, ndt) sulla banca centrale, hanno detto che le banche nazionali erano le più sicure al mondo. Nessun media lo ha messo in discussione. O sono muti, non hanno capacità di analisi, o ogni volta che qualcuno seriamente cercava di parlarne, aveva un problema con la linea editoriale.

Il risultato è che le banche spagnole devono già 250 miliardi di euro alla Banca centrale europea, e ora dicono che diventeranno  decine di miliardi più. Il debito, dunque, non è restituibile, le banche spagnole sono alla rovina. Questo comporterebbe dire ai cittadini che i loro soldi sono a rischio e non si sa cosa fare. C’è il pericolo che l’euro come minimo si svaluti, o anche finisca. Il governo non può consigliare ai cittadini di svincolarsi dalla moneta, ma deve fornire informazioni su quel che sta accadendo, e anche i media dovrebbero fare questo.

Internet ha aperto la finestra, i media tradizionali ancora hanno molti lettori nella rete. I cittadini possono comunicare tra loro, ma non sono figure di riferimento paragonabili a quelli che appaiono nei media. Come possiamo imparare ad auto-informaci?

Lei ha ragione. Ma cominciano ad emergere delle possibilità. In primo luogo, le persone creano i loro giornali o mezzi di comunicazione on line. Non leggiamo interamente El Pais o El Mundo o La Vanguardia (quotidiani spagnoli, ndt). Leggiamo un articolo qua e uno là, facciamo il confronto con altre fonti di stampa estera, sentiamo cosa ci dicono i nostri amici. Facciamo un mosaico di informazioni, non siamo prigionieri di un unico media.

Ma lei è abituato a dire che il lettore, il cittadino, cercando di consolidare quel che già pensa, e non si informa per altri canali.
E’ vero. Quello che sappiamo è che la gente cerca soprattutto conferme per le sue idee, ma questo accade perché hanno pochissime possibilità di essere cittadini, di essere attivi, di rifiutare di essere puri consumatori passivi. Ma non sono abituati ad aprire le loro finestre. Se la vostra scelta è tra i media già esistenti, il probabile atteggiamento: “Andrò a vedere o leggere quello che mi piace di più”

Un’altra logica si apre quando le persone entrano in un clima di sfiducia, diffidano dei media. Lì inizia un altro atteggiamento, che è la wiki-informazione: io informo i miei amici, i miei amici mi informano, discutiamo, e così si organizza un gran dibattito in Internet, da cui nascono cose. Sulla base di questo spirito critico in rete, si esamina ciò che i diversi media stanno dicendo. E questo spirito critico ricostruisce tutti i meccanismi di informazione, che seguono un nuovo flusso – da molti a molti – il contrario di quando tutti ricevono un messaggio inviato da molto pochi.



Lei dice che viviamo nella società dell’informazione, ma siamo disinformati, con una assai scarsa istruzione e, oltre a ciò, abbiamo paura – uno strumento fondamentale in tutto questo meccanismo. Come funziona la paura, per far sì che le regole del gioco non cambino e le stesse persone continuino a dirigere le strutture di potere?

In primo luogo, l’istruzione è povera, ma, facendo un confronto storico, siamo più formati rispetto al passato. Se c’è una variabile che si ripete, in tutti i nuovi movimenti nel mondo, è il fatto che sono formati da persone ben formate, e questo non vuol dire che guadagnano più soldi. L’attivista tipico è il professionista neo-laureato, o di circa 30 anni, con un lavoro molto precario o disoccupato. Queste persone possono acquisire un atteggiamento più critico, scommettendo su un cambiamento di mentalità.

Ad esempio, i diritti delle donne. Quarant’anni fa, nessun grande partito ne parlava come di un tema prioritario. Oggi, se non parlano di questo, si creano un problema. Trenta anni fa l’idea di sviluppo  sostenibile, il fatto che è necessario difendere un modello ecologico, che si deve integrare la natura alla cultura e non al consumo, era una questione da persone radicali, nessun partito serio lo metteva nel suo programma. Oggi, hanno bisogno di dipingersi di verde, almeno un poco, perché se non lo fanno, vengono rifiutati.

Molte idee non sono di un partito o di un leader, sono modi di concepire la nostra vita sociale. Questi importanti cambiamenti nella mentalità tardano. Hanno bisogno di tempo, di dibattiti, di andare oltre i leaders.



Tra questi diritti, ora arriva il tema di internet libero. Sta diventando un punto essenziale, come è stato lo sviluppo sostenibile, i diritti delle donne.

Molto giusto. In questo momento, difendere la libertà in Internet è la base per difendere la libertà in ogni senso. I poteri costituiti diffidano sempre più di internet, odiano la rete. Se potessero farla finita con Internet, lo farebbero.

Ma non è così facile. Ci sono tante minacce alla libertà su Internet che i giovani stanno creando una serie di partiti e movimenti. Che creano molti problemi a coloro che cercano di limitare la libertà. Poco a poco, il vecchio sistema si sta consolidando in partiti di destra e di sinistra che si schierano contro l’essenziale, che resistono alle nuove forme di rappresentanza democratica. Quindi, possono accadere due cose: o i partiti di aprono davvero e accettano di ridefinire il processo democratico, o non si aprono e questa è una prospettiva molto pessimista. Non credo nelle rivoluzioni violente, ma credo che vi siano situazioni di tensione, da si vanno moltiplicando, e una situazione di catastrofe economica e non-rappresentanza politica, con le persone coscienti e critiche e un sistema sotto crescente pressione, che inizia da difendersi.

Lei ha speranza?

Sempre – perché solo i movimenti danno, hanno speranza. Il mio nuovo libro, di prossima pubblicazione, si intitola Redes de indignación y esperanza: sono i due sentimenti che esistono nel movimento. L’indignazione è essenziale per vincere la paura, perché la paura è l’emozione che tutte le società si impongono per non cambiare niente. La gente ha paura che se fa qualcosa che non rientra nelle regole del sistema, come minimo perderanno il lavoro. Come superare la paura? Le stesse indagini neuro-scientifiche dimostrano che accade grazie all’indignazione. Quando mi sento molto arrabbiato, non mi importa cosa può accadere. E questo è già successo.

Se questo non si trasforma in un sentimento positivo, se l’indignazione è rabbia pura, questo conduce a uno scontro. Qual è il sentimento positivo? Speranza. La speranza che qualcosa cambierà. Come si costruisce la speranza? Quando le persone si mettono insieme. Perciò lo slogan in Spagna è: “Insieme, possiamo”. E l’idea che non io posso, che lei non può, ma molti, insieme, sì che possiamo. La vitalità di questo movimento non è che è solo in funzione di internet, la vitalità è necessaria per continuare a fare qualcosa di apparentemente impossibile, che è ricostruire la democrazia a partire dai cittadini.