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domenica 24 marzo 2013

Il destino degli sconfitti


Nel pomeriggio di ieri sono stato chiamato a presentare un progetto per il Porto di Ancona che io ed Amos concepimmo nel 2003 ma che, evidentemente è ancora attuale.
Ricordo che quando fu proposto ai consiglieri comunali ed all'autorità portuale ci fu un silenzio tombale. Alcuni soltanto, di quelli che seguivano le cose del porto, parlò con scherno del "solito disegnino" fatto da strampalati architetti sognatori...
Ma come accade sovente a noi, misconosciuti in patria, che offriamo tuttavia le nostre proposte progettuali alle istituzioni per risolvere gli annosi problemi che impediscono - così si ripete sempre - alla città di risollevarsi e di progredire, dopo il rifiuto pubblico si assiste alla silenziosa assunzione di quelle idee, prese a brani, una ad una e ricomposte senza criterio in un "nuovo progetto" che appare come la grottesca imitazione del progetto originario, del tutto incapace, rispetto a quello, di aprire ad un nuovo scenario urbano, di cambiare davvero la situazione.
Così ci accorgemmo, negli anni, che si abbandonò il proposito di portare il porto peschereccio davanti alla frana Barducci,  cosa che noi sostenevamo essere una follia; che la stazione marittima venne spostata dal porto "storico" al molo sud; che l'espansione della banchina merci, posta in orizzontale e parallela alla costa nel Piano del Porto, viene modificata per proiettarsi in senso perpendicolare alla costa fino alla diga foranea, proprio come disegnato da me e da Amos.
Segno inequivocabile di un lento, ma deciso ripensamento a favore della nostra proposta che mi illudeva circa una nuova attenzione che la città avrebbe avuto rispetto a quel progetto che, in qualche modo, aveva vinto sul campo.
E invece ieri, alla riproposizione del progetto, la reazione è stata esattamente quella di dieci anni fa, anzi oserei dire ancora più ostile.
Di fronte alle lamentele, ai gridi d'allarme sulla condizione del porto ormai giunto allo stremo, con l'occupazione ai minimi storici e nella totale assenza di prospettive, lo stimolo rappresentato dal progetto ha prodotto una reazione di chiusura. Un moto d'orgoglio contro la critica implicita nella individuazione di nuove soluzioni, come si avesse fastidio e paura di quella critica.
Anzichè ascoltare, discutere ed approfondire le nuove proposte, per cercare di capire se possano rappresentare una via di uscita, l'atteggiamento è stato quello di contrapporsi a chi "da fuori" non può capire la complessità del porto - come se il porto fosse uno spazio esclusivo e ne potesse parlare solo chi ci lavora - giungendo perfino a negare l'assunto della crisi, affermando che "il porto oggi non è poi così male"...
I gloriosi cantieri navali, i "mai domi" arsenalotti, continuano ad elemosinare commesse in un mercato che non vuole e non sa trovare un ruolo per Ancona. Fermi nella convinzione che soltanto l'impresa pubblica può fare cantieristica, se provi a parlare di autogestione, di ricerca di soluzioni di qualità nel settore, di specializzazione, di proposte in cui i lavoratori divengano protagonisti del proprio lavoro, sei guardato come un nemico, un infiltrato che fa gli interessi di chissà chi, un destabilizzatore. Senti la paura, in loro, di un salto nel buio anche se proprio il buio è la sola prospettiva che oggi gli da l'azienda assieme alle istituzioni pubbliche..

Da un lato si chiede aiuto, dall'altro lo si rifiuta quando questo aiuto - guardando a qualcosa di nuovo - mette in discussione ciò che è stato fatto finora e chi lo ha fatto. Si vorrebbe cambiare senza cambiare nulla. Forse per paura di perdere il proprio ruolo, forse per paura di avventurarsi in terreni non ben conosciuti.... in ogni caso si tratta essenzialmente di paura.

Mi è venuto in mente, alla fine della conferenza, il bellissimo articolo di Andrzej Stasiuk comparso pochi mesi fa su l'Espresso e che qui allego. Un brevissmo racconto che descrive l'incapacità degli indifesi di opporsi ai predatori e l'attesa, la terribile fatale attesa del predatore in cui si condensa l'intera loro esistenza.

Penso sia questo l'atteggiamento che tiene al giogo Ancona, che rende possibile vicende politiche come quelle di Sturani e di Gramillano; che rende possibile storie come quella dell'Ancona Calcio, o situazioni come quella dell'ex Metropolitan, del teatro delle Muse, dell'Umberto I...
Ancona non cambierà se non cambieranno gli anconetani, se non la smetteranno di avere paura e di negarlo fingendo un assai poco credibile, ruvido orgoglio.
E penso che in fondo tutto sia ancora come quando Leopardi, parlando della "sua" gente, notava come questa mostri più fastidio per chi indica pubblicamente l'origine del male - di cui tutti si lagnano - rispetto al male stesso.

Guardo fuori ed è primavera. Il prugno davanti alla finestra è tutto in fiore e danza dolcemente nel cielo azzurro.
Perchè mai, mi chiedo, continuo a dolermi per Ancona?


sabato 9 marzo 2013

La contraffazione della democrazia














Molti intellettuali, o semplici attivisti di sinistra, stanno lanciando il grido d'allarme: il fascismo sta tornando, nascondendosi dietro un comico genovese e i suoi adepti. Una massa di gente senza un trascorso politico (senza patente) che al grido di "mandiamoli a casa" sembra voler davvero cancellare i partiti presenti in parlamento. E i partiti, secondo i fondamenti della moderna democrazia rappresentativa, sono elementi essenziali della democrazia. Senza partiti non c'è democrazia, c'è solo la dittatura.
Ciò che meraviglia in queste prese di posizione è l'assoluta convinzione che quando si parla di democrazia si parla di una società suddivisa in partiti, immagine di una società suddivisa in classi.
Che questa sia la convinzione di attivisti la cui cultura non è mai uscita dai confini stabiliti di un "pensiero di sinistra" omologato e autoreferenziale non desta meraviglia. Ma quando un intero schieramento di intellettuali, di giornalisti, di esponenti politici avvalla questa posizione allora la questione si fa davvero preoccupante.
Perchè due sono le possibilità: o la "elìte" della sinistra tradisce la propria cultura mistificandone i contenuti per mettersi al servizio del Partito che la mantiene, oppure questa "elìte", a forza di assecondare le voglie di quella stessa Politica è regredita fino ad essere del tutto incapace di sviluppare un pensiero critico e soprattuto libero, indipendente.
Confondere il "partito unico" con l'assenza di partiti, porta a confondere il fascismo e la dittatura con l'anarchismo e il pensiero libertario.
Sembrerebbe quindi che per la cultura di sinistra l'anarchismo non esista e non sia mai esistito o che, essendo riportato nei libri di storia, non si sa bene che cosa sia. Lo stesso dicasi del significato di "democrazia diretta" che è alla base di ogni esperienza libertaria.
Eppure gli storici, gli intellettuali, i politici - le persone che possiedono un minimo di Cultura - dovebbero sapere che la democrazia non nasce nell'800. Quella è soltanto un'interpretazione della democrazia o, per dirla tutta, una "democrazia contraffatta".
La Democrazia esiste da quando esiste la Storia e non è esclusiva della cultura occidentale, come ben ci ha spiegato Amarthya Sen. Ma tutte le esperienze di democrazia sono state profondamente diverse rispetto a quella sviluppatasi nell'800 nella società brghese occidentale. Tanto che la democrazia che noi abbiamo - la democrazia rappresentativa - è la vera eccezione, l'anomalia, perchè introduce cose che con la democrazia popolare proprio non c'entrano nulla.
La democrazia rappresentativa è l'espressione del nuovo potere economico-finanziario che un tempo la sinistra chiamava "capitalismo". La differenza degli uomini in base al censo è una differenza posta dalla borghesia al potere. La divisione in classi è una sua necessaria invenzione. Con essa nasce l'esigenza dei partiti. Esigenza che diventa una opportunità di dominio in quanto i Partiti costituiscono un "filtro" tra il popolo e la classe al potere. E' sufficiente elargire privilegi ai Partiti, coinvolgerli a vario modo all'interno del sistema di potere ed ecco creata la "casta" che smette progressivamente di rappresentare le esigenze del popolo e si trasforma in manipolatore del popolo stesso a vantaggio sia del potere economico finanziario che di loro stessi, che in quel potere sono ormai collusi.
La figura di Berlusconi - con la commistione tra politica e interessi economici - non è che l'esternazione  imbarazzante di qualcosa che è presente in tutti i "Partiti di governo", basti pensare ai rapporti tra PD e grandi Cooperative, o banche come la Unipol e il Monte dei paschi di Siena.

La democrazia diretta, da Pericle alle esperienze socialiste pre-comuniste, è fatta di persone, non di partiti. Le diverse opinioni si compongono e trovano sintesi all'interno dell'Assemblea. Questa è la vera Democrazia.
Ma questa vera democrazia è pericolosa, molto pericolosa per il potere economico-finanziario e per i Partiti che abitano ormai alla sua corte. E va stroncata con ogni mezzo.
Nel 1871 il popolo prese Parigi con un colpo di mano e instaurò un governo democratico-socialista. Una democrazia senza partiti, un democrazia vera, che in soli due mesi produsse idee sociali e iniziative di legge di una modernità incredibile, indicando una società nuova possibile. Due mesi soltanto. Poi il Potere borghese attraverso l'esercito represse quella rivolta libertaria nel sangue.
Su quella repressione e su quel sangue nasceva poi la democrazia rappresentativa parlamentare. La democrazia "affidabile" nelle mani dei Potenti. Affidabile come gli intellettuali di sinistra nell'italietta di oggi, che abbaiano e ringhiano ai nuovi libertari, e poi leccano, leccano la mano del Padrone, dimenando la coda in attesa della ricompensa.



domenica 3 marzo 2013

il giusto tempo

 
Eppure la nostra cultura tradizionale, così legata alla terra, sa che occorre aspettare il giusto momento per fare le cose. La luna propizia ci dice quando si deve piantare o raccogliere, il vento ci indica quando andare o non andare in mare, il sole di primavera regola l'arrivo della bella stagione. Non quando vorremmo noi, ma quando "e tempo".
La nostra volontà di decidere, di forzare la natura delle cose, ci fa perdere la sensibilità all'ascolto, all'osservazione ed all'attesa del "giusto tempo". E quando questo arriva non siamo pronti, ci trova impreparati e infastiditi di questo suo arrivo inaspettato.
In tanti, negli anni passati, hanno cercato la rivoluzione. Con passione, forza, dedizione, hanno lavorato per facilitare l'innesco di un processo di cambiamento, per contrastare un potere sempre più oppressivo in quanto inadeguato alle nuove esigenze della società.
Poi arriva il tempo. Arriva quando tutto sembrava ormai destinato all'ineluttabile. Quando le ideologie, che avevano dato idee e muscoli ai movimenti di ribellione, così come ai processi di dominio economico-finanziario, erano ormai crollate, lasciando un deserto che ci appariva senza fine e immutabile.
Arriva con un esercito di giovani. Quei giovani che vedevamo inetti, svogliati, immaturi. Un esercito di persone che rifuggono l'idea del gruppo e soprattutto di un pensiero di gruppo. Persone senza preparazione politica e ideologica, ma di livello culturale elevato. Persone che pensano, ascoltano, osservano.
Loro, in silenzio, aspettavano il "giusto tempo" e quando questo è arrivato si sono alzati, hanno riempito le piazze, hanno preso il Paese.

Nei cinema sta uscendo un film che si intitola "viva la libertà", tratto da un libro che Roberto Andò scrisse tre anni fa. Un libro che racconta i fatti che stanno accadendo oggi. Il romanzo di un autore che, sapendo ascoltare e osservare come sanno fare gli artisti e i saggi, aveva già avvertito l'arrivo del "giusto tempo".

La rivoluzione è arrivata, anticipando di qualche giorno la primavera.

Quelli che oggi guardano con fastidio questo evento, che biasimano chi lascia le proprie faccende e segue l'ondata, o chi "solo oggi si muove" e che non c'era quando si combattevano le battaglie passate. Quelli che restano ancorati alle proprie visioni di antagonismo e di lotta di classe - figlie dello stesso mondo borghese che si prefiggono di combattere e che sta agonizzando assieme alla loro innocenza - sono destinati ad essere sepolti sotto la polvere.
La rivoluzione di febbraio apre ad un mondo davvero nuovo, fatto di individui pensanti e liberi, che non delegano a nessuno la propria identità. Un'umanità capace di accettare l'altro e le sue diverse opinioni. Capace di costruire una società a partire da ciò che accomuna le persone e non basandosi sulle divisioni e sugli antagonismi.
Una nuova visone della società, davvero mondiale e davvero "sociale", cha sarà capace di rileggere le idee progressiste prodotte negli ultimi due secoli, depurandole dalle fatali contraddizioni che le hanno condotte al fallimento. Potremmo così riparlare senza timori di socialismo, di comunismo, di anarchia... perchè i tempi sono arrivati. Non ci attardiamo in abitudini che appartengono al passato. Mettiamoci in cammino guardando avanti.

"Mentre camminavano, un tale disse a Gesù:
- Io verrò con te dovunque andrai.
Ma Gesù gli rispose:
- Le volpi hanno una tana e gli uccelli hanno un nido, ma il Figlio dell'uomo non ha un posto dove poter riposare.
Poi disse a un altro:
- Vieni con me!
Ma quello rispose:
- Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre.
Gesù gli rispose:
- Lascia che i morti seppelliscano i loro morti. Tu invece va' ad annunziare il regno di Dio!
Un altro disse a Gesù:
- Signore, io verrò con te, prima però lasciami andare a salutare i miei parenti.
Gesù gli rispose:
- Chi si mette all'aratro e poi si volta indietro non è adatto per il regno di Dio."


 Matteo 8, 19-22