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martedì 25 gennaio 2011

la vita non è un gioco












A volte sembra che gli uomini abbiano difficoltà a crescere ed a prendere sul serio le questioni che serie lo sono davvero. 
Mia moglie sostiene che è una caratteristica di noi maschi, quella di dover competere per forza anche quando non serve, e che essendo la nostra società dominata dai maschi va da se che tutto finisce per essere sempre e comunque un gioco. 
Forse ha ragione Lei. Forse una società al femminile porrebbe le questioni in modo diverso. Oppure no.. non so.
Fatto sta che spesso il "gusto" della partita, la voglia di assaporare la vittoria o la rabbia che ci da l'essere sconfitti, muovono le nostre azioni più della ragione e portano a complicare le situazioni, a renderle inutilmente e volutamente conflittuali.

Fin da piccoli, ogni nostra decisione è affidata al gioco ed alla sorte più che all'arte della concordia. "A chi tocca a me o a te?" si risponde senza esitare "testa o croce?" ed è il gioco a decidere, non noi. Uno vince e uno perde.
Ma non potrebbe essere che una volta invece ci mettiamo semplicemente d'accordo?
Allora trasferisco questa mia riflessione sulle vicende sociali, dove in ballo ci sono questioni serie come il lavoro, la salute, il futuro... è mi accorgo che il vizio del gioco è ancora presente, anzi, sembra farsi tanto più irresistibile quanto più alta è la posta.
Prendiamo ad esempio la disputa intorno alla Raffineria Api, con da una parte l'azienda e dall'altra i cittadini.
In tutti questi anni nessuno ha mai pensato di fare la cosa più semplice e ragionevole:  incontrarsi.
Pur sapendo che non esiste una antitesi a-priori dei rispettivi interessi - essendo questi assai diversi: la salute per i cittadini e l'affare economico per l'azienda - ma la contrapposizione è determinata da circostanze che li rendono inconciliabili, invece di lavorare insieme per rimuoverle nell'interesse di entrambi, parte la gara, il braccio di ferro, la partita a scacchi.  Perchè l'importante è sempre e solo vincere, non fare la cosa giusta.
Qualcuno, maliziosamente dirà: "certo, parli così perchè, da ambintalista, sai bene che i rapporti di forza ti sono sfavorevoli".  E' vero. So benissimo che la Raffineria ha la vittoria in tasca in una competizione che non può essere alla pari. Ma è la vittoria che cerca? La vittoria a qualsiasi prezzo? Anche se la vittoria campale comportasse una perdita di opportunità economiche?
Possiamo infatti escludere che da un dialogo, da una collaborazione anziche una battaglia su posizioni prestabilite, scaturiscano soluzioni anche migliori per gli interessi economici dell'azienda? No, non lo possiamo escludere, anzi è del tutto probabile che ciò accada.
Allora conviene davvero alla Raffineria portare a termine la sua partita vincente? 
Se la ragione domina sul vizio del gioco diremmo sicuramente di no e la prima cosa che farebbe un amministratore illuminato sarebbe quella di alzare il telefono e chiamare il capo dei comitati cittadini ad un incontro. Il che è esattamente quello che dovrebbe fare anche il capo dei comitati cittadini nei confronti dell'amministratore della raffineria.

Se questo non accadrà. pazienza. Assisteremo all'ennesima partita, che si concluderà con una  vittoria e una sconfitta. Una vittoria che non sarà eterna ma è destinata a finire presto. Perchè è la storia che ce lo insegna: è nella natura del gioco la vanità della vittoria. Questo fa si che siamo portati a perpetuare il gioco all'infinito, partita dopo partita, senza che ci sia mai una vittoria vera, una soluzione vera.... e alla fine, a ben pensarci, siamo tutti accomunati dalla perdita. La perdita di un'opportunità che non abbiamo saputo cogliere entrambi.

Detto tutto ciò, chi ha più senno, lo mostri.  Perchè la vita non è un gioco.

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